Test Archives | MTB Mag https://www.mtb-mag.com/category/mag/test/ Mountain Bike Magazine Wed, 17 May 2023 18:42:00 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.0.1 https://www.mtb-mag.com/wp-content/uploads/2022/09/cropped-MTBMAG-512x512new-2-32x32.png Test Archives | MTB Mag https://www.mtb-mag.com/category/mag/test/ 32 32 Smartphone, Smartwatch o Ciclocomputer? https://www.mtb-mag.com/smartphone-smartwatch-o-ciclocomputer/ https://www.mtb-mag.com/smartphone-smartwatch-o-ciclocomputer/#respond Tue, 16 May 2023 15:41:29 +0000 https://www.mtb-mag.com/?p=391790 Smartphone Smartwatch o Ciclocomputer

Meglio uno smartphone, uno smartwatch o un ciclocomputer quando si va in bici? Andiamo a vedere pro e contro di ciascun apparecchio. Garmin Fenix 7 Solar Se fate diversi sport, questo è l’orologio che fa per voi. Avendolo sempre con sé, al polso, va bene per correre, nuotare, sciare e anche andare in mountain bike. Dato che rileva anche i battiti cardiaci, metterlo sul manubrio con l’apposito adattatore è un po’ un peccato, ma se abbinato ad una fascia cardio offre valori più precisi. È uno Smartwatch, vale a dire che è possibile abbinarlo al telefono e leggere tutte le

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Smartphone Smartwatch o Ciclocomputer

Meglio uno smartphone, uno smartwatch o un ciclocomputer quando si va in bici? Andiamo a vedere pro e contro di ciascun apparecchio.

Garmin Fenix 7 Solar

Se fate diversi sport, questo è l’orologio che fa per voi. Avendolo sempre con sé, al polso, va bene per correre, nuotare, sciare e anche andare in mountain bike. Dato che rileva anche i battiti cardiaci, metterlo sul manubrio con l’apposito adattatore è un po’ un peccato, ma se abbinato ad una fascia cardio offre valori più precisi.

È uno Smartwatch, vale a dire che è possibile abbinarlo al telefono e leggere tutte le notifiche direttamente dal suo schermo, o rispondere a chiamate telefoniche che però necessitano del telefono per poter parlare. Sempre se siete di quelli che resistono allo stress dato dalle mille notifiche che ci arrivano ogni giorno.

La durata della batteria è infinita: facendo 5 attività sportive di 2/3 ore a settimana si arriva a 2 settimane di autonomia. Le celle solari servono a poco: non ricaricano l’orologio, al massimo diminuiscono di una frazione il consumo della batteria quando il Fenix 7 è al sole.

Se portato al polso, in discesa può dare fastidio, malgrado il suo peso piuma di soli 95 grammi cinturino compreso. Le vibrazioni possono andare a ferire il polso o la mano con i tasti laterali, come successo a me. Quando fa caldo diventa sgradevole da portare perché fa sudare.

Garmin Fenix 7 Solar

Smartphone

Tutti ne abbiamo uno, quindi non comporta costi aggiuntivi. È l’apparecchio con il maggior numero di app, anche gratuite, e quello con lo schermo più grande per una migliore lettura in caso si voglia navigare. D’altro canto metterlo sul manubrio comporta dei rischi, se si cade, e consuma molta batteria che invece servirebbe per poter chiamare in caso d’aiuto.

Se lo usate con la nostra app Training Camp per registrare le attività, iniziate la registrazione ad inizio giro, la chiudete alla fine e ve ne dimenticate nel frattempo. Non solo, con il Live Tracking potete far sapere a famiglia e amici dove siete se girate da soli.

Training Camp Android
Training Camp iOS

Garmin Edge 530

Se andate tanto in bici, non potrete farne a meno: vuoi per i dati provenienti da powermeter o cardiofrequenzimetro, vuoi per la semplicità nel seguire una traccia quando si gira in posti sconosciuti, vuoi per la facilità con cui si aggancia a qualsiasi manubrio.

È robusto, in caso di caduta, e ha una batteria che dura diverse giornate passate in sella. È di gran lunga l’apparecchio più economico fra i tre (vedere link qui sotto).

Garmin Edge 530

Voi cosa usate?

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Migliorare i freni SRAM (Level) con i dischi Galfer Shark https://www.mtb-mag.com/migliorare-i-freni-sram-level-con-i-dischi-galfer-shark/ https://www.mtb-mag.com/migliorare-i-freni-sram-level-con-i-dischi-galfer-shark/#respond Wed, 10 May 2023 15:33:30 +0000 https://www.mtb-mag.com/?p=391521

Durante il test della nuova Specialized Epic Worldcup avevo sostituito i dischi Centerline con i nuovi Galfer Shark sull’impianto SRAM Level.vI freni SRAM Level non sono famosi per la loro potenza. Malgrado l’aspetto cambiato grazie ai serbatoi ora più vicino al manubrio, per facilitare il passaggio del tubo nella serie sterzo, gli interni e l’idraulica sono sempre gli stessi. Due i pistoncini che vanno a mordere i dischi Centerline, anch’essi non propriamente famosi per la loro potenza. Galfer mi ha mandato i suoi nuovi dischi Shark: 180mm di diametro e 2.0mm di spessore all’anteriore, 160mm di diametro e 1.8mm di

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Durante il test della nuova Specialized Epic Worldcup avevo sostituito i dischi Centerline con i nuovi Galfer Shark sull’impianto SRAM Level.vI freni SRAM Level non sono famosi per la loro potenza. Malgrado l’aspetto cambiato grazie ai serbatoi ora più vicino al manubrio, per facilitare il passaggio del tubo nella serie sterzo, gli interni e l’idraulica sono sempre gli stessi. Due i pistoncini che vanno a mordere i dischi Centerline, anch’essi non propriamente famosi per la loro potenza.

Galfer mi ha mandato i suoi nuovi dischi Shark: 180mm di diametro e 2.0mm di spessore all’anteriore, 160mm di diametro e 1.8mm di spessore al posteriore. Anche le pastiglie sono del marchio spagnolo, quelle nere. Vediamo se e come gli SRAM Level sono migliorati nelle loro prestazioni.

Prezzo: da 88.90€

Link ai dischi Shark

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[Test] Pettorina Alpinestars Bionic Pro Chest https://www.mtb-mag.com/test-pettorina-alpinestars-bionic-pro-chest/ https://www.mtb-mag.com/test-pettorina-alpinestars-bionic-pro-chest/#respond Tue, 09 May 2023 06:05:50 +0000 https://www.mtb-mag.com/?p=391420 Alpinestars Bionic Pro Chest

Lo sviluppo di nuovi materiali ha permesso negli ultimi anni un’importante evoluzione nel campo delle protezioni, rendendole più confortevoli e pratiche senza dover rinunciare alla sicurezza. Con questi criteri, Alpinestars ha reinventato la classica roost guard da motocross, largamente utilizzata in ambito downhill, utilizzando materiali morbidi che avvantaggiano la vestibilità e di conseguenza il comfort. Ha così inserito a catalogo la Bionic Pro Chest che ho messo alla prova in queste settimane, una roost guard perfetta per l’utilizzo gravity. Il concept delle roost guard derivate dal motocross è quello di offrire un ottimo livello di protezione al torso garantendo al

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Lo sviluppo di nuovi materiali ha permesso negli ultimi anni un’importante evoluzione nel campo delle protezioni, rendendole più confortevoli e pratiche senza dover rinunciare alla sicurezza. Con questi criteri, Alpinestars ha reinventato la classica roost guard da motocross, largamente utilizzata in ambito downhill, utilizzando materiali morbidi che avvantaggiano la vestibilità e di conseguenza il comfort. Ha così inserito a catalogo la Bionic Pro Chest che ho messo alla prova in queste settimane, una roost guard perfetta per l’utilizzo gravity.

Alpinestars Bionic Pro Chest

Il concept delle roost guard derivate dal motocross è quello di offrire un ottimo livello di protezione al torso garantendo al contempo la massima libertà di movimento. A questo si aggiunge la praticità di poter indossare e svestire la protezione velocemente, anche tra una risalita e l’altra, senza bisogno di togliersi la maglia. Grazie allo spessore ridotto della Bionic Pro rispetto alla maggior parte delle roost guard in commercio, chi preferisce un aspetto più discreto può indossare comodamente la pettorina al di sotto della maglia. Ovviamente si perde il vantaggio di poterla vestire e svestire velocemente ma al contempo si evita la complessa operazione di pulizia in caso di fango.

Dettagli Alpinestars Bionic Pro Chest

Il paraschiena è certamente il dettaglio più importante per una pettorina in ambito MTB e la Bionic Pro Chest mette a disposizione un pannello protettivo di dimensioni generose, soprattutto in lunghezza, con 46 centimetri nella taglia M/L mentre la massima larghezza è di 24 centimetri. La parte anteriore è deputata a proteggere il petto e la parte superiore dell’addome ed è sagomata per offrire la massima libertà di movimento. La certificazione CE del pannello posteriore è la EN 1621-2:2014 Level 1 mentre per il pannello anteriore è la EN 14021:2003 Stone Shield.

Alpinestars Bionic Pro Chest

I materiali utilizzati per i due pannelli protettivi sono i medesimi, ciò che cambia è lo spessore che risulta nettamente maggiore per quello posteriore. La copertura è realizzata tramite un abbinamento di un materiale plastico flessibile e un rivestimento in tessuto resistente alle abrasioni, accoppiati e termoformati per sagomare il guscio e conferire traspirabilità grazie ai numerosi fori di aerazione.

Alpinestars Bionic Pro Chest

La parte interna dei pannelli è rivestita in tessuto reticolato 3D per offrire la massima traspirabilità. Tra il guscio esterno e la fodera interna è interposto uno strato di schiuma EVA, anch’esso traforato, che funge da imbottitura con uno spessore maggiore sul pannello posteriore e uno spessore più essenziale sul pannello frontale. Questa imbottitura ottimizza il comfort generale ma soprattutto assorbe gli urti che vengono così dissipati in modo più progressivo rispetto alla sola protezione del guscio esterno.

Le bretelle della Alpinestars Bionic Pro Chest connettono il pannello posteriore con quello anteriore senza soluzione di continuità e di conseguenza senza possibilità di regolare la vestibilità in altezza, motivo per cui è essenziale individuare la taglia corretta tra le 3 messe a disposizione da Alpinestars per questo modello. Sono realizzate in tessuto traforato con un sottile strato intermedio in EVA, soluzione traspirante e confortevole che infatti viene largamente adottata per gli spallacci degli zaini. I due elastici rossi sulle spalle servono a stabilizzare il Bionic Neck Brace di Alpinestars in caso di utilizzo combinato.

Anche in vita troviamo dei pannelli con le medesime caratteristiche delle bretelle e servono ad accompagnare le fasce elastiche con cui si allaccia e si regola la taglia della pettorina, evitando che le fasce elastiche stringano direttamente sui fianchi del biker, a vantaggio del comfort. Le fasce non hanno fibbie di regolazione della lunghezza ma la gestione della vestibilità viene determinata semplicemente tramite la chiusura a velcro.

Il range di regolazione, circa 6 centimetri su ciascun lato, non è quindi molto ampio ma per quanto ho potuto riscontrare sulla taglia M/L per la mia corporatura, è più che adeguato a trovare la giusta misura, complice anche la buona elasticità delle fasce stesse. La parte terminale della fascia, su cui è posizionato il velcro, si attacca al di sotto del piccolo guscio in gomma, anch’esso dotato di velcro. Questo sistema consente di fissare il capo della fascia su entrambe le sue facce, garantendo una tenuta più salda rispetto a un velcro singolo ma al contempo risulta più elaborato rispetto alle fibbie a clip che normalmente si utilizzano sulle roost guard.

Sul paraschiena troviamo un altro dettaglio studiato appositamente per la compatibilità della Bionic Pro Chest con il Bionic Neck Brace di Alpinestars o in generale con i neck brace. Un guscio in plastica fissato con il velcro nella parte alta del pannello paraschiena si può staccare per creare la sede posteriore del neck brace o si lascia al suo posto per massimizzare la protezione delle vertebre toraciche.

In generale la Bionic Pro Chest vanta un’ottima cura per i dettagli e un design semplice ed efficace che dovrebbe garantire anche una buona longevità dato che non ci sono dettagli potenzialmente soggetti a una particolare usura.

Alpinestars Bionic Pro Chest in azione

La costruzione con materiali soft conferisce alla Bionic Pro Chest un’ottima vestibilità, fondamentalmente migliore rispetto ai prodotti analoghi realizzati con gusci duri in plastica. Aderisce ottimamente al corpo e quindi segue bene i movimenti durante il riding, risultando confortevole e leggera, seppure il peso in sé sia solo di poco inferiore rispetto alle media delle tradizionali roost guard rigide. Come accennato in precedenza, il ristretto range di regolazioni della vestibilità non ha costituito un problema per la mia corporatura con la taglia M/L ma chi ha proporzioni fisiche differenti potrebbe incontrare qualche difficoltà, quindi la scelta della taglia corretta è essenziale.

Fortunatamente non ho messo alla prova la resistenza della Bionic Pro Chest in caso di caduta ma la sensazione di protezione non ha nulla da invidiare alle roost guard rigide. Il fatto di utilizzare materiali morbidi è studiato per ottenere flessibilità dalla pettorina ma perpendicolarmente è adeguatamente rigida per proteggere dagli urti grazie alla combinazione tra il guscio esterno e il pannello interno in EVA. La ventilazione è differente rispetto alle classiche roost guard dato che, aderendo bene al corpo, consente una minore circolazione dell’aria proveniente dai lati. Tuttavia resta ben ventilata grazie ai numerosi fori per il passaggio dell’aria, soprattutto per quanto riguarda il pannello frontale. Quello posteriore è per ovvi motivi meno predisposto alla ventilazione durante il riding e quindi genera più sudurazione di quello anteriore. Bisogna però considerare il vantaggio di poter svestire facilmente la pettorina tra una salita e l’altra che aiuta ad asciugare e rinfrescare, cosa che invece risulta più complicato da fare con una pettorina tradizionale indossata sotto alla maglia. La fodera interna che va a contatto con la jersey comunque asciuga piuttosto rapidamente e la schiuma EVA assorbe poco sudore.

In definitiva Alpinestars ha realizzato un ottimo prodotto che si adegua a quello che sarà il futuro delle protezioni da gravity, sul quale tutti i principali brand si stanno orientando: protezioni morbide e confortevoli ma adeguatamente protettive, più leggere e che si adattano al corpo e ai suoi movimenti durante il riding.

Peso e prezzo Alpinestars Bionic Pro Chest

  • Taglie disponibili: XS/S – M/L (in test) – XL/XXL
  • Peso: 829 grammi (verificato in taglia M/L)
  • Prezzo: €159,95

Alpinestars

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Passila Runtu edizione e*13 pronta per il Ninja https://www.mtb-mag.com/passila-runtu-edizione-e13-pronta-per-il-ninja/ https://www.mtb-mag.com/passila-runtu-edizione-e13-pronta-per-il-ninja/#respond Fri, 05 May 2023 16:14:14 +0000 https://www.mtb-mag.com/?p=391363

Abbiamo finito di montare il telaio Passila Runtu che ci è arrivato dalla Finlandia qualche settimana fa. E*13 ci ha mandato praticamente tutti i componenti, forcella e trasmissione a parte, per preparare questa cattivissima front da enduro che Iron Mike porterà al limite in qualche suo episodio di Trail Ninja. L’abbiamo fotografata prima che venga brutalizzata. Telaio in titanio in taglia M dal peso di 2.08kg. Il passaggio dei cavi è completamente esterno, reggisella telescopico a parte. Guarnitura e*13 LG1 Race Carbon, con corona del 32 colore intergalactic. Pacco pignoni Helix Race 9-50, colore intergalactic. La trasmissione è una Shimano

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Abbiamo finito di montare il telaio Passila Runtu che ci è arrivato dalla Finlandia qualche settimana fa. E*13 ci ha mandato praticamente tutti i componenti, forcella e trasmissione a parte, per preparare questa cattivissima front da enduro che Iron Mike porterà al limite in qualche suo episodio di Trail Ninja.

L’abbiamo fotografata prima che venga brutalizzata.

Telaio in titanio in taglia M dal peso di 2.08kg. Il passaggio dei cavi è completamente esterno, reggisella telescopico a parte.

Guarnitura e*13 LG1 Race Carbon, con corona del 32 colore intergalactic.

Pacco pignoni Helix Race 9-50, colore intergalactic. La trasmissione è una Shimano XTR 1×12.

Catena pulita con la nostra macchinetta degli ultrasuoni e incerata con la cera di Effetto Mariposa. Sembra nuova, ma non lo è.

Dicevamo del passaggio cavi esterno. Pratico ma esteticamente non così piacevole come quello interno.

Le valvole di e*13 Quick Fill Plasma permettono di inserire il lattice facilmente con una siringa. E sono blu intergalattico!

Il cavo del reggisella telescopico passa esternamente dal tubo obliquo al tubo orizzontale.

Il reggisella telescopico e*13 Vario Infinite può essere settato con una corsa compresa fra i 180 e i 150mm in maniera molto semplice.

I pedali e*13 Plus Flat hanno dei pin che se colpiranno il Ninja sugli stinchi sentirete le sue imprecazioni in tutta la penisola.

Titanio, dicevamo. Innegabile il suo fascino.

Anche le gomme sono e*13: all’anteriore il Grappler da 2.5″, al posteriore l’All Terrain, sempre da 2.5″.

I cerchi sono e*13 LG1 Race, in carbonio e con un canale da 30mm di larghezza. Entrambi da 29 pollici.

28 fori, versione enduro.

Forcella Fox 36 Factory Kashima, 160mm di escursione. L’angolo vi sembra aperto? Qui trovate le geometrie.

Manubrio e*13 Race 35, 800mm di larghezza, rise 35mm. Blu intergalattico anche lui.

Attacco manubrio da 40mm di lunghezza. Il colore lo sapete…

Sella Fizik Aidon X3. Molto comoda, non solo sulle ebike.

Forse dobbiamo pulire le ditate unte dovute al montaggio…

Al Ninja dobbiamo dare dei freni che frenino prima che ci cada in un burrone: Shimano XTR con 4 pistoni, dischi da 200/180mm di diametro.

La bici pesa, compresi i pedali, 13.30 Kg. Cosa ne dite, piacerà ad Iron Mike?

Passila
E*13

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Specialized Turbo Levo SL: l’anello mancante 3 anni dopo https://www.mtb-mag.com/specialized-turbo-levo-sl-lanello-mancante-3-anni-dopo/ https://www.mtb-mag.com/specialized-turbo-levo-sl-lanello-mancante-3-anni-dopo/#respond Thu, 04 May 2023 15:57:23 +0000 https://www.mtb-mag.com/?p=391251 Specialized Turbo Levo SL

Tre anni fa la Specialized Levo SL suscitò tanto scalpore in questo articolo perché venne definita come l’anello mancante fra le mountain bike e le ebike. Di acqua sotto i ponti ne è passata tanta, anche in forma di pandemia, e ormai sono tante le ebike leggere che strizzano l’occhio a chi vorrebbe l’aiutino in salita mantenendo il divertimento di una bici senza motore in discesa. È innegabile infatti che una ebike full power abbia caratteristiche totalmente diverse da una MTB, sia in salita che in discesa. La nuova SL non è stata stravolta per quando riguarda motore e batteria,

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Tre anni fa la Specialized Levo SL suscitò tanto scalpore in questo articolo perché venne definita come l’anello mancante fra le mountain bike e le ebike. Di acqua sotto i ponti ne è passata tanta, anche in forma di pandemia, e ormai sono tante le ebike leggere che strizzano l’occhio a chi vorrebbe l’aiutino in salita mantenendo il divertimento di una bici senza motore in discesa.

È innegabile infatti che una ebike full power abbia caratteristiche totalmente diverse da una MTB, sia in salita che in discesa. La nuova SL non è stata stravolta per quando riguarda motore e batteria, ma Specialized si è concentrata ad aumentare il divertimento in discesa, rendendola molto simile alla Stumpjumper Evo, sia per quanto riguarda le geometrie variabili che le sospensioni. In taglia S4 (la L di Specialized) la versione Comp ha fermato l’ago della nostra bilancia sui 18.25kg senza pedali. Considerando che un’endurona moderna, senza motore, si avvicina a quel peso, diciamo che la linea fra mountain bike ed ebike si fa sempre più sottile.

Di seguito la presentazione e la prova in video, più sotto la versione scritta. Qui trovate il giro del test.

Geometrie Specialized Levo SL

Qui di seguito trovate le geometrie per la Levo SL in configurazione mullet. L’angolo sterzo corretto è di 64.25°, nella posizione neutrale. Qui trovate invece le geometrie nei vari assetti.

Potenza massima di 320W, coppia massima di 50Nm, al posto dei 240W e 35Nm del vecchio modello, potranno sembrare una grande differenza, nella pratica c’è però da fare i conti con la batteria rimasta immutata, ovvero 320Wh a cui si possono aggiungere i 160Wh del range extender.

Specialized Turbo Levo SL

Uno dei grandi cambiamenti sta però nel come regolare l’assistenza perché, oltre ad avere i tre classici livelli Eco – Trail e Turbo, la nuova Levo SL dispone adesso del Microtune, cioé la possibilità di tarare l’assistenza in intervalli del 10% da 0 a 100, facilmente da comando manubrio mentre si sta pedalando.

Specialized Turbo Levo SL

In questo modo è più facile risparmiare batteria ed usarla come e quando ci serve. La centralina Mastermind posizionata sul tubo orizzontale rende il tutto molto semplice ed intuitivo.

Specialized Turbo Levo SL

L’altro punto a favore della nuova Levo SL è la silenziosità del nuovo motore. Per capire di cosa sto parlando, date un’occhiata al video, dove si percepisce chiaramente.

A livello estetico si nota la mancanza del rinforzo asimmetrico fra tubo orizzontale e tubo piantone.

Specialized Turbo Levo SL

Il terzo punto positivo è la geometria variabile, che ha come base un reach allungato, un tubo sella più verticale e un angolo sterzo più aperto. Visto che la SL difficilmente verrà usata per arrampicarsi su sentieri impervi in salita come una ebike classica, bene ha fatto Specialized a concentrarsi sul fattore divertimento in discesa. Un eccentrico permette di aprire o chiudere l’angolo sterzo di 1.25°, mentre un flipchip posto sul bullone che tiene l’ammortizzatore fa alzare o abbassare il movimento centrale di 5mm.

Specialized Turbo Levo SL

La variabile che più ho apprezzato è stata però la possibilità di allungare il carro di 11mm (da 432 a 443mm) grazie al flipchip posto sul fodero basso. Non solo perché si può montare una ruota da 29″, ma anche perché con il carro più lungo l’anteriore sta meglio incollato a terra sul ripido, facilitando la manovra.

Personalmente userei solo la configurazione 29/29 perché avrei un allrounder che mi permette di andare bene sia in salita che in discesa.

Specialized Turbo Levo SL

Se vi ricordate la prima Specialized Levo SL uscì con una forcella Fox 34 e un ammortizzatore in linea. La nuova ha una Fox 36 e un Float X con piggy back quando esce dal negozio. Pur essendo la 36 una basica Rythm, rigidità, tenuta sulle lunghe discese e comfort all’anteriore sono di molto superiori alla vecchia 34.

Lo stesso discorso vale per le gomme, delle comprovate Specialized Butcher/Eliminator con mescola T7/T9 in carcassa trail. Robuste, con un ottimo grip, soprattutto la T9, danno il loro buon contributo alla performance in discesa.

Torniamo a parlare di batteria: il motore è più potente consuma più batteria. Facendo due conti, con il range extender (peso: 1kg) riesco a percorrere 1900 metri di dislivello in modalità Trail impostata al 50% dell’assistenza totale.

Rifacendomi ad un articolo che ha ricevuto oltre 5.000 commenti, con la vecchia SL ne percorrevo 2.300, sempre con il range extender. La coperta è sempre la stessa, forse adesso è diventata un po’ corta per chi cerca una durata eterna della batteria. D’altro canto, come dicevo prima, Specialized si è concentrata molto sulle prestazioni discesistiche, dunque il dilemma è: contenere il peso o aumentare la batteria?

La cosa mi è stata confermata anche da Chris, il mio amico che mi aveva prestato la sua Levo SL personale durante la prima prova. Rifacendo gli stessi percorsi non ha diminuito i tempi di percorrenza in maniera significativa, anzi i tempi sono rimasti più o meno invariati. Dove si nota la maggior potenza è sulle rampe ripide.

Il range extender è identico al vecchio, cambia la lunghezza del cavo, leggermente più corto perché la presa per la ricarica è stata spostata più in avanti.

Non poteva mancare l’appunto sui freni SRAM Code con dischi Centerline. Visto che sono quelli base, manca la rotellina per regolare la distanza delle pastiglie dal disco. La gestione del consumo delle pastiglie non è il punto forte dei Code, così dopo tre settimane di test la leva ha un sacco di corsa a vuoto prima che la pinza vada a mordere il disco come si deve. Con dei dischi SRAM HS2 il problema sarebbe stato mitigato.

Sempre molto comodo il multitool a scomparsa nella serie sterzo.

Conclusioni

Ripeto che il test approfondito si trova nel video, vale la pena però riassumere qui i punti a favore della nuova Specialized Levo SL: silenziosità del motore, livello di assistenza regolabile in intervalli del 10% grazie al Microtune e geometria variabile. In discesa è molto divertente, la differenza con una mountain bike classica è minima. In salita la batteria da 320Wh è una coperta un po’ corta se si fanno giri lunghi.

Prezzi

Specialized Levo SL Comp: 7.900€
Specialized Levo SL Pro: 11.500€
S-Works: 14.000€

Specialized

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Casco Abus Cliffhanger: il test https://www.mtb-mag.com/casco-abus-cliffhanger-il-test/ https://www.mtb-mag.com/casco-abus-cliffhanger-il-test/#respond Wed, 03 May 2023 07:33:10 +0000 https://www.mtb-mag.com/?p=391219

Durante la nostra visita agli stabilimenti di Abus ho ricevuto un casco Cliffhanger per poterne fare un test. Dopo circa un mese di prove ecco cosa ne è venuto fuori. Dettagli Abus Cliffhanger Tecnologia multi-shell in-mold per una struttura solidale tra calotta esterna e materiale assorbente del casco (EPS) Zoom Ace MTB: Sistema di regolazione per adattarsi alla circonferenza della testa Compatibilità con i capelli raccolti a coda Sistema di cinturini TriVider regolabile lateralmente e antiscivolo QUIN ready – facile aggiornamento con il chip QUIN slim per il rilevamento delle cadute disponibile separatamente ActiCage: rinforzo della struttura integrato nell’EPS per

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Durante la nostra visita agli stabilimenti di Abus ho ricevuto un casco Cliffhanger per poterne fare un test. Dopo circa un mese di prove ecco cosa ne è venuto fuori.

Dettagli Abus Cliffhanger

Tecnologia multi-shell in-mold per una struttura solidale tra calotta esterna e materiale assorbente del casco (EPS)
Zoom Ace MTB: Sistema di regolazione per adattarsi alla circonferenza della testa
Compatibilità con i capelli raccolti a coda
Sistema di cinturini TriVider regolabile lateralmente e antiscivolo
QUIN ready – facile aggiornamento con il chip QUIN slim per il rilevamento delle cadute disponibile separatamente
ActiCage: rinforzo della struttura integrato nell’EPS per migliorare la stabilità
Visiera regolabile in altezza
GoggFit: permette di riporre la mascherina sotto la visiera
Ventilazione: 8 convogliatori e 6 estrattori d’aria
Cinturino magnetico FidLock
Peso rilevato: 320 grammi
Prezzo: 169,95€ (online scontato come qui su Cicli Cingolani a 118.90€)

Se volete vederlo indossato sulla mia testa, cliccate qui.

L’Abus Cliffhanger in prova è quello base, nel senso che non ha né Mips né il sistema di rilevamento degli incidenti Quin. La taglia è una M per me che ho una circonferenza della testa di 58 cm e mi calza benissimo, nel senso che devo stringere la rotellina di circa 1/3 della sua corsa per tenerlo saldamente al suo posto.

A tal proposito vediamo subito una delle caratteristiche che più mi piacciono di questo Cliffhanger, e cioé il poter alzare e abbassare la citata rotellina sulla nuca, potendo quindi a scegliere il punto esatto della nuca su cui fare pressione. Non solo, se avete i capelli lunghi potete far passare la coda di cavallo al di sopra della rotellina.

O se preferite la potete tenere il più vicina possibile al casco.

Sulla parte posteriore troviamo delle generose aperture, pensate per creare un flusso d’aria importante insieme a quelle anteriori. Nella pratica, viste le velocità di quando si va in mountain bike in salita, ciò non evita copiose sudate come tutti gli altri caschi.

Anche alzando la visiera, sotto cui ci sta una mascherina per chi la usa, si suda sulla parte di casco che poggia sulla fronte. Per chi, come me, è solito “strizzare” il casco dal sudore, sappiate che l’operazione si lascia fare bene, anche perché la sua forma è pensata per le teste rotonde occidentali e dunque è aderente a tutta la fronte.

Niente Mips dicevamo. Non sono un grande fan di quel sistema, perché ci sono troppe variabili di cui tenere conto affinché funzioni bene: un casco ben allacciato e aderente alla testa, pochi capelli, la taglia perfetta. Senza contare che proprio il cuoio capelluto permette al casco di scivolare sulla testa in caso di impatto, proprio come il Mips. E senza contare che si tratta di materiale in più, quindi più caldo e che va a cambiare le dimensioni interne del casco e dunque la taglia.

Se poi ci aggiungiamo la sostanziale differenza di prezzo per il bollino giallo (199.95€ nel caso del Cliffhanger), ecco che in tanti si pongono la domanda: ma è davvero necessario?

Il sistema di chiusura e fitting sulla testa del Cliffhanger è ottimo: non serve stringerlo alla morte affinché il casco rimanga al suo posto anche durante le discese più scassate. Il Fidlock, la chiusura magnetica sotto mento, è pratico e non scontato per questa fascia di prezzo.

La distanza della cinghia dalle orecchie non è regolabile. A me questo non ha dato fastidio, ma so che c’è chi ha forme anatomiche diverse e ha bisogno della regolazione.

Il modello in prova ha la specie di elica sulla nuca di colore arancione, quindi molto appariscente, ma ci sono altre colorazioni dove non si nota così tanto.

Mi sento di consigliarlo per chi fa trail/all mountain: la protezione arriva in basso sulle tempie e sulla nuca, cioé di più di un classico casco da XC, senza un aggravio di peso degno di nota. Buona ventilazione, ottima calzata e un rapporto qualità/prezzo interessante rendono l’Abus Cliffhanger un casco di cui tenere conto in fase di acquisto.

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[Test] Sella SQlab 60X Infinergy Active 2.1 https://www.mtb-mag.com/test-sella-sqlab-60x-infinergy-active-2-1/ https://www.mtb-mag.com/test-sella-sqlab-60x-infinergy-active-2-1/#respond Tue, 02 May 2023 10:53:53 +0000 https://www.mtb-mag.com/?p=391038 SQlab 60X Infinergy Active 2.1

La sella è il componente più soggettivo e personale su di una bici e ciascuno dei numerosi costruttori di selle porta avanti un proprio concept in merito alla combinazione tra comfort, ergonomia e performance che i loro prodotti devono offrire. Tra questi, i tedeschi di SQlab hanno coltivato un approccio estremamente scientifico nella ricerca e sviluppo dei loro prodotti, mettendo in primo piano l’ergonomia nel senso più rigoroso del termine grazie a un know how fondato sulla stretta collaborazione con medici specialisti di diverse branchie della medicina. L’ultimo nato tra questi prodotti è la 60X Infinergy Active 2.1 che ho

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La sella è il componente più soggettivo e personale su di una bici e ciascuno dei numerosi costruttori di selle porta avanti un proprio concept in merito alla combinazione tra comfort, ergonomia e performance che i loro prodotti devono offrire. Tra questi, i tedeschi di SQlab hanno coltivato un approccio estremamente scientifico nella ricerca e sviluppo dei loro prodotti, mettendo in primo piano l’ergonomia nel senso più rigoroso del termine grazie a un know how fondato sulla stretta collaborazione con medici specialisti di diverse branchie della medicina.

SQlab 60X Infinergy Active 2.1

L’ultimo nato tra questi prodotti è la 60X Infinergy Active 2.1 che ho messo alla prova in questo test. Si tratta di una sella da gravity che racchiude in sé molte delle tecnologie sviluppate da SQlab. Andiamo a scoprirle…

Dettagli SQlab 60X Infinergy Active 2.1

Partiamo dalle misure disponibili. SQlab mette a disposizione la 60X in 4 differenti opzioni di larghezza: 13, 14, 15 e 16cm, tutte con lunghezza di circa 280mm. L’ampia scelta di misure sposa il concetto ergonomico di SQlab per cui ogni biker deve poter trovare il giusto appoggio con la sella della larghezza corretta rispetto alla distanza delle sua ossa ischiatiche. La misurazione si può effettuare comodamente anche a casa seguendo i consigli di SQlab, i primi a sviluppare un metodo per rilevare questa cruciale misura già nel 2002.

SQlab 60X Infinergy Active 2.1

Il particolare profilo a scalini è l’espressione della tecnologia Ergowave che caratterizza le selle SQlab dal 2014. Con questo approccio, studiato in collaborazione con l’ospedale universitario di Francoforte, SQlab ha spostato l’area di appoggio trasversalmente rispetto alla sella così da fornire pieno appoggio alle ossa ischiatiche mentre solleva l’intero perineo e di conseguenza i tessuti molli, alleggerendo dalla pressione la circolazione sanguigna, i nervi e la prostata. La parte centrale inoltre ha un ampio e profondo avvallamento che contribuisce ad alleggerire ulteriormente la parte posteriore del perineo. Lo scalino posteriore crea un angolo che funge da appoggio alle ossa ischiatiche, quando necessario, per evitare di scivolare indietro sulla sella ed esprimere maggiore forza sui pedali.

SQlab 60X Infinergy Active 2.1

La più importante novità introdotta da SQlab con la nuova 60X è il processo di costruzione tramite tecnologia Infinergy. Al posto del consueto sistema di imbottitura e rivestimento, SQlab utilizza uno strato di schiuma termoplastica poliuretanica espansa a celle chiuse prodotta dall’affermata BASF che fornisce lo stesso materiale Infinergy a diversi marchi di calzature per le suole, come per esempio le scarpe da corsa di alta gamma di Adidas. Un materiale estremamente duraturo e robusto ma anche performante in termini di assorbimento ed estensione. Viene stampato direttamente sullo scafo della sella e questa tecnologia permette a SQlab di produrre le selle Infinergy interamente in Germania, senza dover delocalizzare in Asia.

La struttura in Infinergy offre un’imbottitura dallo spessore generoso data la destinazione d’uso gravity. La robustezza del materiale consente di non utilizzare una classica copertura dell’imbottitura quindi la schiuma Infinergy viene lasciata a vista. Viene impiegata una copertura realizzata con un nastro di interlock, un tessuto a trama molto fitta che protegge l’Infingery esclusivamente nei punti della seduta dove è previsto il maggior contatto e sfregamento con il sedere. Nella foto seguente notiamo anche le dimensioni generose del naso della sella, lungo ma soprattutto ampio con ben 46mm di larghezza.

La sella 60X Infinergy adotta anche la tecnologia Active 2.1, un sistema che SQlab ha presentato al pubblico per la prima volta nel 2008 e che è in continua evoluzione. Si tratta di un elastomero che si interpone tra il carrello e lo scafo, consentendo una flessione laterale della sella in un range di 7 gradi che accompagna il movimento naturale del bacino durante la pedalata e alleggerisce il carico di lavoro dell’articolazione sacroiliaca, allo scopo di ridurre o prevenire i derivanti problemi di mal di schiena. Nella confezione di acquisto della 60X Infinergy Active 2.1 vengono forniti due elastomeri di ricambio oltre a quello installato di serie, con diversi gradi di durezza, così da personalizzare il comportamento in base al proprio peso e alle proprie preferenze. Si inseriscono a pressione quindi si sostituiscono facilmente, senza bisogno di attrezzi e senza rimuovere la sella dal reggisella.

Il carrello della 60X Infinergy Active 2.1 è disponibile esclusivamente con binari S-Tube che sono realizzati in lega leggera di acciaio con sezione cava. Trattandosi di una sella destinata prevalentemente alle discipline gravity, SQlab non ha messo tra le opzioni anche una versione con binari in carbonio che troviamo invece su altre selle della loro gamma. Una scelta sensata, anche se chiaramente incide sul peso complessivo della sella che con i suoi 285 grammi verificati non è tra le più leggere in circolazione.

Lo scafo è realizzato in materiale composito di nylon rinforzato con fibra di vetro. Essenziale e robusto, ha delle sottili nervature e un bordo studiato per ospitare la stampa della schiuma Infinergy così da realizzare un contorno sella confortevole e privo di punti di contatto rigidi e potenzialmente fastidiosi.

La sella 60X di SQlab è un prodotto sicuramente particolare e questo lo possiamo percepire immediatamente dall’estetica piuttosto inusuale. La cura costruttiva è ottima e, nonostante la schiuma Infinergy lasciata a vista le doni un aspetto leggermente grezzo, i dettagli sono ben rifiniti. Le tecnologie adottate sono studiate approfonditamente e molto affascinanti… andiamo a scoprire se sono anche efficaci sui trail.

SQlab 60X Infinergy Active 2.1 in azione

L’ho messa alla prova su bici da enduro per diversi mesi, facendo anche un confronto diretto con altri prodotti della loro gamma con sistema Ergowave ma senza Active 2.1 e senza Infinergy, così da poter discernere le caratteristiche di questi due sistemi caratteristici della 60X in prova. Partiamo dal sistema Active 2.1. Posso dire che la sensazione non è chiaramente percepibile quindi non occorre adattarsi a un comportamento diverso della sella, tuttavia nel momento in cui si torna in sella a un modello senza questo sistema, se ne avverte distintamente l’assenza, sintomo che gli elastomeri fanno in modo discreto il loro lavoro di alleggerire il carico sulla zona lombare. La differenza di durezza tra i diversi elastomeri è racchiusa in un range minimo ma adeguato a personalizzare il comportamento del sistema Active 2.1. Si avverte differenza tra il più morbido e il più duro ma la differenza tra ciascuno di questi e quello intermedio non è eclatante.

SQlab 60X Infinergy Active 2.1

In merito al sistema a gradini denominato Ergowave, chiunque ha problemi al perineo dovuti alla sella, dovrebbe provarlo! Potrebbe non essere la soluzione definitiva per tutti ma si tratta di una tecnologia efficace sia nella teoria (ampiamente spiegata e documentata sul sito di SQlab) che nella pratica e chi non ha ancora trovato la sella ideale per il proprio fondoschiena, potrebbe concludere la sua ricerca con una Ergowave. Il sistema a gradini richiede un breve adattamento iniziale dato che tutto il peso converge sulle ossa ischiatiche ma dopo poche uscite la libertà di movimento durante la pedalata e la sensazione di alleggerimento del perineo diventano letteralmente irrinunciabili. L’ampia superficie piana del gradino centrale permette di spostarsi agevolmente sulla sella, mantenendo un appoggio corretto. Ampio anche il naso, a mio avviso troppo lungo ma ne ho apprezzato la larghezza e la forma ben sfruttabile sia in salita che come riferimento durante la guida in discesa. Il rialzo pronunciato sulla coda invece, a dispetto dell’apparenza, non risulta ingombrante nei fuorisella.

Concludo con le impressioni sul materiale Infinergy. La scelta di questo materiale è sicuramente particolare e anche la sensazione sulla seduta è molto differente rispetto agli altri modelli SQlab con imbottitura tradizionale. Innanzitutto è molto sostenuto, sicuramente meno morbido di quanto possa sembrare, anche considerando lo spessore importante. Non affonda e sorregge bene quindi riesce a comprimersi ulteriormente quando necessario e ha una risposta più elastica alle sollecitazioni rispetto alle imbottiture tradizionali. Mi ha impressionato anche la robustezza. Pensavo che essendo privo di copertura si sarebbe segnato facilmente invece la sella sembra ancora come nuova. D’altra parte, viene utilizzato per la suola delle scarpe da corsa quindi queste caratteristiche non devono meravigliare.

Pesi e prezzo SQlab 60X Infinergy Active 2.1

  • Peso dichiarato (14cm): 287 grammi
  • Peso verificato (14cm): 285 grammi
  • Prezzo: €199,95

SQlab

 

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[Test] Scarpe UDOG Distanza https://www.mtb-mag.com/test-scarpe-udog-distanza/ https://www.mtb-mag.com/test-scarpe-udog-distanza/#respond Wed, 26 Apr 2023 21:49:16 +0000 https://www.mtb-mag.com/?p=391031

Dopo le scarpe Tensione e le Cima UDOG ha presentato delle scarpe da gravel, le Distanza, che abbiamo potuto usare recentemente. Queste scarpe ricalcano gli stilemi delle scarpe da strada, ma con l’attacco per pedali SPD e l’aggiunta di una generosa suola in gomma per consentire di camminarci. La suola in gomma è l’elemento che colpisce di più di queste scarpe, in quanto dalla parte sottostante va ad avvolgere la punta delle stesse. Questa soluzione è particolarmente apprezzabile, in quanto la suola ha un ottimo grip, e la copertura sulla punta evita qualunque tipo di abrasione sulla parte più esposta

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Dopo le scarpe Tensione e le Cima UDOG ha presentato delle scarpe da gravel, le Distanza, che abbiamo potuto usare recentemente.

Queste scarpe ricalcano gli stilemi delle scarpe da strada, ma con l’attacco per pedali SPD e l’aggiunta di una generosa suola in gomma per consentire di camminarci.

La suola in gomma è l’elemento che colpisce di più di queste scarpe, in quanto dalla parte sottostante va ad avvolgere la punta delle stesse. Questa soluzione è particolarmente apprezzabile, in quanto la suola ha un ottimo grip, e la copertura sulla punta evita qualunque tipo di abrasione sulla parte più esposta di una scarpa in fuoristrada.

Le tacchette sono ben riparate nella suola, consentendo di camminarci senza che queste tocchino il suolo, ma allo stesso tempo non ci sono impedimenti nell’attacco con il pedale. Non ci sono parti sostituibili sulla suola, ma la gomma è molto esistente alle abrasioni.

Il sistema di chiusura delle Distanza è a lacci, con il tipico “marsupio” sulla linguetta per riporre il nodo una volta allacciate, in modo che i lacci siano riparati e non svolazzino in giro con il rischio di agganciarsi alle corone della guarnitura o altro.

Il sistema per stringere i lacci è quello brevettato da UDOG, il Tension Wrap System, che non solo stringe la parte superiore della tomaia, ma passa anche internamente alla scarpa consentendo di stringerla anche nella parte mediana del piede.

La tomaia è realizzata in un tessuto a rete morbido e traspirante. Il volume della scarpa è molto ampio, soprattutto nella parte anteriore.

Le solette interne sono abbastanza standard come spessore, nella parte più stretta hanno una larghezza di 8cm (in taglia 45), quindi nella media di altre scarpe.

La suola è in Nylon rinforzato con fibre di carbonio, dalla rigidità media. Se si vuole una suola più rigida c’è l’opzione delle Distanza Carbon, con suola interamente in carbonio.

Nel complesso le Distanza sono scarpe da gravel e bikepacking/cicloturismo, quindi non scarpe orientate alla perestazione, ma alla comodità. In questo senso il volume della scarpa e la consistenza della tomaia fanno il loro lavoro. Le Distanza sono scarpe comode da portare per molte ore, senza punti di pressione particolari sul piede. Equilibrata anche la rigidità della suola, non troppo flessibile, ma nemmeno troppo rigida. Ci si può camminare tranquillamente, grazie anche all’ottima suola, che offre grip e grande protezione sulla punta.

Il rovescio della medaglia sono scarpe che offrono un contenimento medio, sia in particolare per la consistenza della tomaia ed il contenimento del tallone, non fermissimo. D’altronde chi vuole una scarpa da gara dovrebbe rivolgersi ad altra tipologia di scarpa. Come detto ottima la protezione della punta, che evita di rovinare velocemente le scarpe camminando su rocce e sassi, ma in compenso la tomaia in rete raccoglie facilmente sporco e polvere.

Ottimo il rapporto qualità/prezzo, le Distanza sono vendute di listino a 180eu

Sito UDOG

 

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Nuova Specialized Epic WC: addio front, ecco il zero sag https://www.mtb-mag.com/nuova-specialized-epic-wc-addio-front-ecco-il-zero-sag/ https://www.mtb-mag.com/nuova-specialized-epic-wc-addio-front-ecco-il-zero-sag/#respond Thu, 20 Apr 2023 16:00:35 +0000 https://www.mtb-mag.com/?p=390837 Specialized Epic WC

Dopo tante speculazioni ecco finalmente la nuova Specialized Epic WC (World Cup), la bici da gara che va a prendere il posto della front e diventa una full molto particolare grazie ad un sistema di sospensione completamente nuovo. Niente paura, la Epic “classica” con il Brain rimane a catalogo, così come la Epic EVO. Quello che sparisce è il top della gamma hardtail di Specialized, dedicato alle competizioni, perché questa nuova Epic mantiene il carattere di una front in salita e nei rilanci, ma diviene una full a tutti gli effetti quando il terreno diventa impegnativo, grazie ad un sistema

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Dopo tante speculazioni ecco finalmente la nuova Specialized Epic WC (World Cup), la bici da gara che va a prendere il posto della front e diventa una full molto particolare grazie ad un sistema di sospensione completamente nuovo. Niente paura, la Epic “classica” con il Brain rimane a catalogo, così come la Epic EVO.

Specialized Epic WC

Quello che sparisce è il top della gamma hardtail di Specialized, dedicato alle competizioni, perché questa nuova Epic mantiene il carattere di una front in salita e nei rilanci, ma diviene una full a tutti gli effetti quando il terreno diventa impegnativo, grazie ad un sistema di sospensione che possiamo chiamare Zero Sag, o quasi. Quasi perché il Zero Sag è solo una delle tre impostazioni in cui mettere l’ammortizzatore dedicato, sviluppato insieme a Rock Shox, visto che la separazione della camera negativa da quella positiva permette di scegliere con quanto sag girare, a seconda delle proprie preferenze e del percorso.

Nel video vado nel dettaglio della bici e vi propongo un test approfondito.

Dettagli Specialized Epic WC

Escursione: 110mm davanti, 75mm dietro
Ruote: 29 pollici
Telaio: completamente in carbonio
Forcella Rock Shox SID Ultimate SL con Brain
Ammortizzatore: Rock Shox WC Integrated Design
Peso dichiarato solo telaio con ammortizzatore e hardware in taglia M: 1.765 grammi
Peso rilevato: 9.7 kg in taglia L senza pedali
Prezzo: 12.500€ per il modello in test (S-Works). 9.000€ per la Epic WC Pro. 6.500€ per telaio con forcella RS SID Brain.

La sospensione

Il cuore di questa bici è la sospensione posteriore e la particolarità dell’ammortizzatore di avere le camere positive e negative separate. Ricordo che sulla maggior parte dei prodotti in commercio queste sono autobilancianti al momento dell’immissione dell’aria quando si fa il set up, e che la negativa andrà a controbilanciare la positiva, creando il sag e la relativa sensibilità alle piccole asperità. Su una bici da XC, come la Epic per rimanere in casa Specialized, il sag sarà intorno al 25%. Sulla Epic WC il sag massimo consigliato è del 10%.

Questo fa sì che il carico di stacco dell’ammortizzatore sarà più alto, dando quel feeling da front per cui questa bici si caratterizza. Potendo scegliere quanta aria lasciare nella camera negativa, si può scendere ad una posizione intermedia con il 5% di sag o addirittura ad una estrema con zero sag. La differenza sostanziale fra queste tre impostazioni è proprio la sensibilità ai piccoli urti, come ben raffigurato in questo grafico. Notare che Specialized chiama il sag “gulp”.

La linea rossa, quella del zero sag, mostra chiaramente quanta forza sia necessaria per far cominciare a lavorare la sospensione. Successivamente la curva è del tutto simile, con una rampa finale tipica degli ammortizzatori ad aria e necessaria per evitare i fine corsa. A tal proposito guardate gli interni dell’ammortizzatore: il tampone di fine corsa è di grandi dimensioni, proprio per evitare fine corsa bruschi.

La camera negativa si trova sotto quella positiva, dove c’è la mollettina, appena sopra il pistone. Può venire svuotata con una chiave esagonale del 4.

Per dare un punto di riferimento al momento del set up, sull’ammortizzatore troviamo una linea a metà corsa a cui comprimere la sospensione quando si imposta la posizione intermedia e si rilascia l’aria dalla camera negativa. Le possibilità di set up sono però infinite, al di là delle tre posizioni che sono a tutti gli effetti un punto di partenza. Per una guida alla regolazione vi rimando al sito di Specialized.

Notare che i foderi non sono attaccati direttamente all’ammortizzatore, ma ad una biella che si prende carico di non trasferire le torsioni dal carro 1:1 all’ammo.

All’anteriore troviamo invece una Rock Shox SID Ultimate SL con il Brain, un sistema con una valvola che apre la sospensione solo quando sollecitata da urti di media entità. In questo caso però si può scegliere la soglia regolando il pomello destro da tutto aperto (no Brain) a tutto chiuso (punto di stacco più alto). Questa forcella è identica a quella presente sulla Epic già in commercio.

Specialized Epic WC

Il cockpit è nuovo anch’esso, ve lo abbiamo presentato qualche giorno fa. Integrato, con uno stem di -12° e un manubio di 780mm accorciabile facilmente grazie a delle tacche verniciate, ha uno backsweep di 8° e un rise di 0°. La posizione in sella diventa molto improntata all’anteriore, come ci si aspetta su una bici da gara come questa.

Niente comandi remoti per le sospensioni, niente cavi per la trasmissione. Pulizia completa.

Specialized Epic WC

Geometria

A guardarla di lato, la Specialized Epic WC sembra molto lunga e aperta. Con 465mm di reach, una volta saliti in sella, ci si trova invece con una bella posizione centrale sulla bici, mentre l’angolo sterzo di 66.5° è uno dei più aperti in ambito XC.

L’angolo sella di 74.5°, meno ripido di altri modelli della concorrenza, si giustifica con il poco sag necessario e dunque con il minor affondamento del carro. A proposito di carro, i foderi hanno la stessa lunghezza di quelli della vecchia hardtail: 430mm, un dettaglio utile per ridurre l’interasse.

Sono alto 179cm e ho un cavallo (distanza sella-movimento centrale) di 74cm. La taglia L per me è perfetta.

Altri componenti

Il cockpit è così pulito anche grazie alla nuova trasmissione wireless SRAM Eagle AXS, quella che non necessita di forcellino e che può cambiare sotto sforzo. Vi rimando al test dedicato per i dettagli.

Specialized Epic WC

Non potevano mancare il powermeter e una corona da 34 denti su una bici del genere. Il guidacatena può sembrare superfluo, vista la ritenzione della catena dello SRAM Eagle, però in gara le cadute non sono rare e con esse la possibilità che la catena si sposti. È comunque facilmente smontabile.

Il peso dichiarato delle ruote Roval Control SL è di 1.240 grammi. Non si smontano alla prima botta, come potete anche vedere nel video. Idem per le gomme S-Works, che non sono riuscito a forare durante il test malgrado i tanti sassi e gradoni.

Essendo tutta montata SRAM / Rock Shox, non potevano mancare i freni SRAM Level, in questo caso degli Ultimate con il nuovo design Stealth.

L’abbinamento ai dischi Centerline 180/160mm li rende un componente critico quando si affrontano discese lunghe e tecniche, criticità che viene meno se si gareggia in circuito o su tracciati facili.

Sul campo

Per il test approfondito vi rimando al video, ma ci tengo a mettere nero su bianco le mie sensazioni soprattutto in merito all’innovativo sistema di sospensione. Premetto che ho montato un telescopico Yep Components Podio con 80mm di escursione (+159 grammi, escluso remoto e cavo) e ho sostituito i dischi con dei Galfer Shark e relative pastiglie.

Ho provato tutti e tre i settaggi dell’ammortizzatore, dal sag al 10% fino allo zero sag. Anche con il 10% una cosa è chiara: questa non è una full da XC nel senso classico del termine. Il momento di stacco rimane elevato in modo da tenere il carro tranquillo quando si pedala su superfici lisce, come accade nella maggior parte delle salite. Questo significa che sulle piccole asperità si avrà una sensazione da “front” a tutti gli effetti, con una trazione minore rispetto ad una full da XC.

Non c’è quindi nessun Brain o lockout al posteriore, viene tutto gestito dall’ammortizzatore e dalle impostazioni scelte dal rider al momento della regolazione del sag.

Dove però la Epic WC si allontana decisamente dalle front è sui terreni scassati presi in velocità: qui il carro lavora bene, assorbendo gli impatti in scioltezza indipendentemente dalla quantità di sag che si è scelta. Infatti la differenza sostanziale fra il zero sag e il sag al 10% è data principalmente dal punto di stacco iniziale: molto elevato nel primo caso, meno estremo nel secondo (vedere grafico ad inizio articolo). Grande stabilità in salita e in pedalata, poca sensibilità ai piccoli urti.

Lo stesso Blevins, atleta di punta del team XC di Specialized, dice che usa zero sag solo nelle gare di Short Track, visto che si tratta di una competizione sprint su percorsi facili. Nelle gare di XC opta per un altro set up che gli permetta di avere più sensibilità e dunque più trazione anche in salita.

Vi faccio un esempio su un percorso che conosco molto bene, la traversata San Lucio – Monte Bar. In salita ho rilevato uno dei miei tempi migliori di sempre, usando il 5% di sag. Si tratta di una salita che alterna tratti su asfalto, su cementata e su sterrata e dove anche la leggerezza della Epic WC ha aiutato.

Specialized Epic WC

Il discorso è cambiato completamente quando mi sono trovato sugli 8km di sentiero saliscendi, con tanti tratti lenti e tecnici in salita o falsopiano. Qui ho sentito decisamente la mancanza della sensibilità alle piccole asperità e mi sono trovato a dover lavorare molto di più con le gambe e a cercare trazione in salita su roccioni e tratti sconnessi, quasi come con una front. La Specialized Epic WC è dunque più impegnativa e faticosa in questi frangenti, ma non dovrebbe essere una sorpresa perché il brand californiano la vede come sostituta della propria hardtail. Tenete questo fattore bene in mente se volete acquistarne una: NON è la nuova Epic full.

In quel tratto ho aperto completamente il Brain della SID, proprio per cercare più trazione sul lento. Infatti il Brain ben si sposa al sistema di sospensione posteriore, quando tutto chiuso, filtrando poco le piccole asperità.

Sono rimasto sorpreso dalla combinazione ruote/gomme sia per la loro robustezza che per la loro relativa comodità, cosa che mi ha aiutato nella ricerca della suddetta trazione. Trazione che, se intesa come grip, viene a mancare presto al posteriore per la tassellatura appena accennata del copertone Renegade con mescola T5, piuttosto dura.

Il carro corto si sente sulle salite ripide, perché l’anteriore richiede di spostare il busto in avanti per evitare che la ruota si alzi. Un paio di millimetri in più non avrebbero guastato, anche perché comunque la Epic WC in discesa è agile e maneggevole, ma mi rendo conto che l’angolo sterzo di 66.5° possa spaventare i cross countristi più tradizionalisti e per evitare di avere una bici troppo lunga (sulla carta) Specialized ha optato per un carro corto.

Conclusioni

Per chi è pensata la nuova Specialized Epic WC? Sicuramente per chi fa granfondo con tanto sterrato e sentieri medio/facili. Sarebbe la mia prima scelta su un percorso come la Sella Ronda Hero, per esempio, mentre per la Ronda Extrema andrei sulla Epic classica, visto che ci sono tanti sentieri con tanti sassi in falsopiano dove un po’ di trazione in più non guasta.

La sceglierei per le gare XC in circuito, sia per il peso contenuto che per quell’indole scattante che permette grandi accelerazioni in uscita di curva.

La cosa certa è che questa è una bici da gara. Per fare i giri in compagnia ci sono alternative migliori, anche nella gamma Specialized.

Specialized

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[Test] Orbea Oiz M-Team https://www.mtb-mag.com/test-orbea-oiz-m-team/ https://www.mtb-mag.com/test-orbea-oiz-m-team/#respond Sun, 16 Apr 2023 21:35:33 +0000 https://www.mtb-mag.com/?p=390491

Alcuni mesi fa, vi abbiamo presentato la nuova Orbea Oiz 2023. Nelle ultime settimane abbiamo avuto la possibilità di testare il modello Oiz M-Team 2023 da 7.999 euro, nella versione standard ossia come viene proposta in acquisto sul sito con l’eccezione della colorazione, scelta da noi. Ricordiamo che sul sito è possibile personalizzare il colore e alcuni componenti upgradandola e personalizzandola già in fase di acquisto con il programma MyO. Dettagli Orbea Oiz M-Team Ruote: 29 pollici Telaio: carbonio Escursione: 120mm davanti e dietro Blocco sospensioni: 3 posizioni, comando a manubrio Passaggio cavi: interno, con passaggio nella serie sterzo Reggisella:

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Alcuni mesi fa, vi abbiamo presentato la nuova Orbea Oiz 2023. Nelle ultime settimane abbiamo avuto la possibilità di testare il modello Oiz M-Team 2023 da 7.999 euro, nella versione standard ossia come viene proposta in acquisto sul sito con l’eccezione della colorazione, scelta da noi. Ricordiamo che sul sito è possibile personalizzare il colore e alcuni componenti upgradandola e personalizzandola già in fase di acquisto con il programma MyO.

Dettagli Orbea Oiz M-Team

Ruote: 29 pollici
Telaio: carbonio
Escursione: 120mm davanti e dietro
Blocco sospensioni: 3 posizioni, comando a manubrio
Passaggio cavi: interno, con passaggio nella serie sterzo
Reggisella: telescopico meccanico, 100mm di escursione
Peso rilevato in taglia L, senza pedali, senza portaborraccia e con ruote latticizzate: 10.6 kg.
Prezzo: 7.999€

Vi rimando all’articolo di presentazione per ulteriori dettagli, mentre qui sotto trovate le geometrie.

Geometrie molto moderne, in cui spiccano un angolo di sterzo piuttosto aperto di 67° così come un reach abbastanza lungo di 472 in taglia L, quella in test.

La prova sul campo

Rispetto alla Rockrider xc 900S recentemente testata, la Oiz ha un BBdrop nella media per bici da xc (42 mm) , non ha dunque un movimento centrale più alto del normale, tuttavia l’inclinazione del piantone, che nella Rockrider era di appena 73°, in questo caso è di ben 76,5°. Così dritto che una volta regolata l’altezza sella corretta, ci si trova altissimi senza riuscire a toccare a terra nemmeno con entrambe le punte dei piedi, quando il reggisella telescopico è del tutto esteso. È solo una caratteristica che colpisce, questa altezza dal terreno, che non si tramuta però in un sostanziale problema nella pedalata.

Un tubo sella così verticale la rende in compenso forse la miglior full mai provata in salita. Una volta bloccate le sospensioni, è incredibile la facilità con cui si riescano a superare pedalando con grande naturalezza le stesse rampe ripide che con altre bici, anche front, spesso costringono al piede a terra per l’impennarsi dell’anteriore. Con la Oiz si riesce, senza troppo spostarsi in punta di sella e quindi senza cambiare angolo di spinta, a spingere bene perpendicolarmente sui pedali mantenendo trazione e al tempo stesso il peso del corpo non troppo arretrato.

Questa è la caratteristica che mi ha colpito di più e che in una gara può regalare qualche decina di secondi importanti. Spostando il focus sull’allestimento, la bici in test è un (quasi) top di gamma. Le manca, per posizionarsi al vertice, solo la trasmissione wireless, un componente comodo sinchè si vuole, ma nella sostanza ininfluente ai fini della prestazione (NB: non ho ancora provato il nuovo SRAM Eagle).

L’XTR è eccellente in ogni condizione di cambiata, sotto sforzo e non, sempre precisissimo. Il sistema frenante Shimano è potente e modulabile in ogni condizione. Reattività ottima nei cambi di ritmo, la Oiz in test è abbastanza leggera per essere una full con un reggisella telescopico e ha sospensioni che si bloccano perfettamente quando serve.

Si fa un po’ fatica ad adattarsi  al funzionamento inverso dello Squidlock, che sblocca le sospensioni a leva spinta in avanti e viceversa. Le tre posizioni, o meglio la percezione di quella intermedia, rispetto al tutto aperto, è veramente poco avvertibile. La trasmissione col 34 è perfetta (51 posteriore), pedalata sempre bella piena e una facilità a trovare il giusto rapporto che col 32 è sempre più problematica oltre che presto limitante alle alte velocità.

In discesa è la classica full da xc, permissiva sinchè si vuole, sicuramente molto più di una front, ma rimane una bici impegnativa sullo scassato vero, nonostante la doppia escursione da 120mm. Solitamente trovo i range di base Fox riportati sul fodero per la pressione della forcella in relazione al peso una buona base di partenza per i miei gusti. Con questa Oiz mi sono trovato meglio con una pressione abbastanza inferiore quasi fosse la Fox molto più sostenuta come spesso lo sono le Rock Shox di serie.

I copertoni, di dimensione piuttosto generosa con sezione da 2.40″, consentono pressioni vicine ad 1 bar senza pericolosi affondamenti sul cerchio, e sono abbastanza scorrevoli. Se come trazione al posteriore, vanno bene, all’anteriore, a costo di un piccolo aggravio di peso e perdita di scorrevolezza, un qualcosa di più scolpito darebbe maggior sicurezza e confidenza. In questo, le condizioni al limite della polvere quasi sempre trovate neanche fosse estate, non hanno aiutato. Un terreno appena umido è sempre quello con aderenza migliore. In ogni caso i copertoni di una bici in comune fra loro hanno solo il ruotare, dunque una scolpitura differenziata a seconda della funzione, è sempre preferibile.

Il manubrio da 760 mm come quello montato è forse troppo largo per una bici da xc. Soprattutto in salita si avverte abbastanza l’esigenza di stringere l’impugnatura per una posizione più raccolta, così come nei single track stretti con rami e arbusti laterali ci si sente sempre un po’ “ingombranti” (sono riuscito ad impattare un albero con un fianco dopo essere passato di traverso col manubrio). Un 740 o 720mm rimangono per una full da xc le soluzioni preferibili, il miglior compromesso per la salita, la guida nello stretto e la guidabilità in discesa sul veloce.

La dotazione di serie del reggisella telescopico meccanico, finalmente affidabile rispetto ai noti problemi dei Fox idraulici, che avevano però la comodità di poter scegliere di abbassare la sella solo parzialmente, rende la Oiz più completa e versatile per chi lo preferisse anche nei normali percorsi xc o per affrontare percorsi trail più impegnativi con passaggi tecnici che nelle gare raramente si trovano.

Conclusioni

L’Orbea Oiz è una full da xc a tutti gli effetti senza grosse concessioni al trail o downcountry che lo si voglia chiamare. Eccellente quasi come una front in salita, a cui è superiore nei tratti pedalati sconnessi e tecnici che vengono ben copiati dall’ammo. Paga solo un po’ in reattività nei rilanci rispetto alle front top di gamma, più che altro per quel chilo e mezzo in più di peso rispetto a un pari allestimento front (senza telescopico).

In discesa non consente più confidenze del dovuto, nonostante un telescopico che può aiutare principalmente nei passaggi più ripidi o dove ci siano gradoni pronunciati. È comunque impegnativa nonostante l’escursione da 120 delle sospensioni. È curata nei particolari, con il porta Garmin integrato sull’attacco, accessorio molto utile specie con i moderni attacchi manubri molto corti e il blocco rotazione manubrio che in caso di caduta impedisce che i comandi o le leve dei freni danneggino il telaio.

La trasmissione meccanica, seppur le toglie appeal “mediatico”, mantiene un po’ calmierato il prezzo rispetto ai top di gamma senza pagare in affidabilità ed efficienza tecnica. In conclusione è una bici ben progettata e coerentemente allestita in funzione dell’uso per cui viene proposta, moderna nelle geometrie e nei componenti.

Orbea

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Nuove ruote Race Face Turbine: a cosa serve il carbonio? https://www.mtb-mag.com/nuove-ruote-race-face-turbine-a-cosa-serve-il-carbonio/ https://www.mtb-mag.com/nuove-ruote-race-face-turbine-a-cosa-serve-il-carbonio/#respond Thu, 13 Apr 2023 15:51:57 +0000 https://www.mtb-mag.com/?p=390484 Ruote Race Face Turbine

Oggi Race Face annuncia una versione aggiornata del set di ruote in alluminio Turbine che ho potuto provare nelle ultime settimane. Sebbene in apparenza le ruote non sembrino drasticamente diverse dal modello predecente, ci sono alcuni aggiornamenti cruciali che vale davvero la pena approfondire. Dettagli Ruote Race Face Turbine 27.5″, 29″ o miste (in test) Boost (in test) o Super Boost Attacco disco a 6 fori Corpetto MS, XD (in test) o HG 28 raggi sia anteriori che posteriori Larghezza cerchio di 30mm Raggi a testa dritta e a doppio spessore Nippli in alluminio Profilo del cerchio specifico per anteriore

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Oggi Race Face annuncia una versione aggiornata del set di ruote in alluminio Turbine che ho potuto provare nelle ultime settimane. Sebbene in apparenza le ruote non sembrino drasticamente diverse dal modello predecente, ci sono alcuni aggiornamenti cruciali che vale davvero la pena approfondire.

Dettagli Ruote Race Face Turbine

  • 27.5″, 29″ o miste (in test)
  • Boost (in test) o Super Boost
  • Attacco disco a 6 fori
  • Corpetto MS, XD (in test) o HG
  • 28 raggi sia anteriori che posteriori
  • Larghezza cerchio di 30mm
  • Raggi a testa dritta e a doppio spessore
  • Nippli in alluminio
  • Profilo del cerchio specifico per anteriore e posteriore con 4mm di offset
  • 1.895 grammi dichiarati (29″) / 1.850 grammi verificati (formato misto con valvole e nastro)
  • Garanzia a vita
  • 918€

Ruote Race Face Turbine

Le nuove Turbine hanno cerchi con offset anteriore e posteriore di 4mm per un angolo di rinforzo notevolmente migliorato e una tensione più uniforme tra il lato drive e quello opposto. Entrambe queste scelte progettuali migliorano l’integrità complessiva della ruota.

Ruote Race Face Turbine

Un nuovo aspetto del profilo del cerchio è la sua spalla più ampia. Rendendo questa parte del cerchio effettivamente più arrotondata, si riducono le possibilità di tagli al pneumatico. È anche più spesso e quindi dovrebbe essere migliore per evitare danni.

Ruote Race Face Turbine

Un altro aspetto interessante dei nuovi cerchi è che il loro design specifico anteriore e posteriore mira a migliorare la qualità di guida. Mentre entrambi i cerchi sono larghi 30mm, il cerchio anteriore è alto 18mm e quello posteriore è alto 20mm. Il profilo più basso dell’anteriore dovrebbe aiutare a fornire una guida più confortevole mentre al posteriore il profilo più alto aumenta robustezza e rigidità.

Ruote Race Face Turbine

Al centro del set di ruote Turbine ci sono i robusti mozzi Vault di Race Face che si sono guadagnati una solida reputazione nel corso degli anni. Un aspetto interessante, oltre alle enormi dimensioni, è il fatto che i cuscinetti sono molto distanziati tra loro, migliorandone così la longevità e riducendo la possibilità di danni al perno posteriore. Rispetto al popolare mozzo DT Swiss 240, i cuscinetti del Vault hanno una posizione più ampia di circa 10mm.

Ruote Race Face Turbine

I mozzi Vault sono progettati attorno ai raggi straight pull, 28 a ruota per essere precisi.

Ruote Race Face Turbine

Mentre la flangia del mozzo posteriore è più grande sul lato drive, per il mozzo anteriore è il contrario, come mostrato sopra. Entrambi i mozzi non necessitano di attrezzi quindi possono essere smontati a mano per una rapida manutenzione.

Senza il corpetto si possono vedere i 6 cricchetti. Ogni cricchetto ha 2 denti per un maggiore contatto e la disposizione prevede due gruppi opposti di 3 cricchetti con un solo set innestato alla volta. Notiamo anche la grande tenuta da rimuovere per accedere alle molle.

La ghiera in acciaio ha 60 denti per un innesto di 3º incredibilmente veloce. I Vault sono interamente montati su cuscinetti Enduro 6902 maggiorati.

Sul sentiero

Le Turbine arrivano già nastrate e con le valvole installate e installare le gomme con una pompa da pavimento è stato un gioco da ragazzi. Ho subito apprezzato l’ingaggio rapido. I cuscinetti del mozzo sono scorrevoli e le dimensioni del mozzo sono imponenti. Con i loro cerchi in alluminio offrono una sensazione di guida molto piacevole con un ottimo equilibrio tra rigidità e assorbimento, soprattutto considerando i soli 28 raggi. Alcune ruote in alluminio possono sembrare poco reattive rispetto a quelle in carbonio, ma non queste. Piuttosto, la qualità di guida delle Turbine mi rende sempre più scettico riguardo alle ruote in carbonio in generale, in particolare dal punto di vista del costo.

È un first ride e non un test a lungo termine ma ho fatto alcuni giri su terreni discretamente sconnessi e con diversi salti e le Turbine non hanno battutto ciglio. Ho anche fatto utilizzato le gomme ben al di sotto della mia pressione standard e non ho mai bucato. In che modo la spalla del cerchio più ampia previene le forature? Proprio come il profilo del cerchio anteriore più basso che offre una guida più morbida, è difficile valutare quanto incidano certi aspetti del design nel mondo reale, in particolare con differenze nell’ordine di pochi millimetri. Tuttavia entrambe queste cose hanno riscontro e le ruote mostrano un’eccellente qualità di guida. Se proprio dovessi trovare difetto, probabilmente indicherei i raggi straight pull. Sicuramente è una scelta progettuale dettata dai mozzi Vault e hanno i loro pro e contro ma personalmente li trovo fastidiosi da tensionare. Tuttavia, 1.850 grammi è un buon peso per un set di ruote in alluminio con mozzi così robusti e questo è un altro aspetto positivo.

Conclusioni

Ci vorrà più tempo sui sentieri per fare una valutazione approfondita delle Turbine ma finora tutto bene. 918€ per un valido set di ruote in alluminio ben progettato e con mozzi di alta gamma che vanta una garanzia a vita è un vero affare. Il fatto che offrano una qualità di guida da far dubitare dell’utilità dei cerchi in fibra di carbonio le rende ancora più convincenti.

www.raceface.com

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[Test] Transition Patrol Carbon https://www.mtb-mag.com/test-transition-patrol-carbon-2/ https://www.mtb-mag.com/test-transition-patrol-carbon-2/#respond Wed, 12 Apr 2023 18:37:59 +0000 https://www.mtb-mag.com/?p=390455 Transition Patrol Carbon

Quando Transition ha lanciato l’ultimo modello della Patrol, il suo debutto lo ha fatto con la sola versione in alluminio e con formato ruote misto. Dopo alcuni mesi il marchio di Bellingham ha tirato fuori un telaio in fibra di carbonio molto più leggero a cui siamo riusciti a dedicare un po ‘di tempo, testandolo come telaio. Anche se questo articolo sarà incentrato principalmente sul comportamento sul sentiero del telaio Patrol, dedicheremo comunque un po’ di tempo ad esaminare l’allestimento disponibile che più assomiglia al nostro. A causa della scarsità di prodotti reperibili, quando abbiamo ritirato il nostro Patrol Carbon

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Quando Transition ha lanciato l’ultimo modello della Patrol, il suo debutto lo ha fatto con la sola versione in alluminio e con formato ruote misto. Dopo alcuni mesi il marchio di Bellingham ha tirato fuori un telaio in fibra di carbonio molto più leggero a cui siamo riusciti a dedicare un po ‘di tempo, testandolo come telaio. Anche se questo articolo sarà incentrato principalmente sul comportamento sul sentiero del telaio Patrol, dedicheremo comunque un po’ di tempo ad esaminare l’allestimento disponibile che più assomiglia al nostro. A causa della scarsità di prodotti reperibili, quando abbiamo ritirato il nostro Patrol Carbon non tutti gli allestimenti erano disponibili, ma quello a cui si avvicina di più è il GX Carbon.

Transition Patrol Carbon

Ho provato la bici per parecchio tempo come nella foto sopra, con sospensioni da 170mm e ammortizzatore a molla. In precedenza l’ho provata anche nella configurazione originale con 160mm di escursione anteriore e posteriore e ammortizzatore ad aria Fox DHX2. Inutile dire che la bici offre più opzioni di quelle che un semplice flip chip high/low potrebbe indicare a prima vista.

Dettagli Transition Patrol Carbon

  • Mixed wheels – 29″ front / 27.5″ rear
  • Costruzione in fibra di carbonio
  • Taglie da S a XL (Large in test)
  • Escursione 160mm anteriore / posteriore – compatibile 170mm anteriore / posteriore
  • Movimento centrale filettato
  • Universal Derailleur Hanger
  • Mozzo Boost
  • 3.699€ (solo telaio)
  • Garanzia a vita

Transition Patrol Carbon

I più attenti avranno notato che il tubo sterzo della Patrol non assomiglia a quello delle altre bici Transition. Questo perché, in quanto bici da freeride, può accettare una forcella a doppia piastra. Prima che uscisse la TR11, Nico Vink era stato avvistato spesso su una Patrol in alluminio con una forcella Ohlins a doppia piastra.

Transition Patrol Carbon

Come sulla maggior parte dei modelli Transition, è presente un flip chip sul perno inferiore dell’ammortizzatore che consente la regolazione di 0.5º sull’angolo di sterzo e del tubo sella e di 7mm sull’altezza del movimento centrale.

Transition Patrol Carbon

Lo spazio per il copertone posteriore è abbondante, fino a 2.6″.

Transition mantiene il passaggio del tubo del freno posteriore all’esterno del telaio mentre le guaine del cambio e del telescopico passano all’interno del telaio. Mi piace questo approccio in quanto il tubo non si vede dal lato della trasmissione, quindi ha comunque un bell’aspetto. Il vantaggio più ovvio è che semplifica la manutenzione.

Un altro cenno alla facilità di manutenzione è il movimento centrale filettato, di serie su ogni Transition.

Il guscio in gomma del fodero orizzontale fa un ottimo lavoro nel silenziare gli urti della catena e proteggere il telaio.

Per quanto riguarda la sospensione, la Patrol ha una progressività del 24%. La curva è abbastanza lineare con una piccola rampa alla fine. Ciò la rende adatta agli ammortizzatori sia ad aria che a molla. Buono anche il rapporto di leva medio, abbastanza basso.

La protezione principale del tubo obliquo è un guscio di gomma che si estende fino al movimento centrale. Disponibile anche la protezione per la sponda del pickup.

Transition ti permette di portare le informazioni salienti del telaio con te.

Sebbene Transition non offra lo stivaggio interno al tubo obliquo, la soluzione sul telaio è comunque ben accolta. Avvitando la strap di Wolftooth sono stato in grado di portare una camera d’aria, una leva cacciagomme, CO2 con valvola e un multitool. Il telaio offre anche un portaborraccia con spazio per grandi borracce.

Infine, il Patrol è dotato dell’Universal Derailleur Hanger di SRAM, quindi non solo è facile trovare i ricambi, ma guarda al futuro ed è pronto per le nuove trasmissioni SRAM Eagle.

Geometrie Transition Patrol Carbon

Con quattro taglie disponibili, Transition offre comunque due diverse lunghezze del carro con 6mm di differenza dalle taglie S e M a quelle L e XL. Il reach di 480mm (impostazione high) della Large è perfetto per la mia altezza di 183cm. Numeri come un angolo di sterzo di 63.5º e un angolo sella effettivo di 78.1º indicano che questa bici fa sul serio in discesa, ma allo stesso tempo è perfettamente in grado di risalire.

Sul sentiero

L’allestimento che si avvicina di più a quello che ho testato è il GX, che costa $6.699, ma è dotato di ruote Race Face, freni TRP e ammortizzatore Fox Float X. Quasi tutto il resto è uguale a quello di serie e onestamente avrei comunque preferito i freni TRP ai Code. La taglia è giusta e non cambierei un solo aspetto delle geometrie della Patrol. Sono rimasto completamente convinto anche dalla configurazione a ruote miste ma mi rendo conto che non è per tutti… la Patrol potrebbe certamente reggere una gara di enduro occasionale, specialmente con escursione di 170mm, ma sarebbe preferibile una 29″ se si vuole prevalentemente gareggiare e quindi sarebbe più indicata la Spire.

La posizione di guida della Patrol è molto eretta e quindi si è rivelata comoda ed efficiente nelle salite più difficili grazie anche al suo angolo sella di 78.1º (posizione high). Se l’angolo effettivo del tubo sella è piuttosto verticale, lo è anche l’angolo reale, pertanto i biker con le gambe lunghe non verranno arretrati troppo verso l’asse posteriore posizionando la sella alta. Ho notato che anche per quanto riguarda la sospensione la Patrol Carbon sale molto bene e nonostante la lunga escursione è molto stabile e composta senza bobbing. Nell’impostazione standard da 160mm con ammortizzatore ad aria, la bici era un po’ più vivace ed efficace in salita, con l’opzione da 170mm a molla meno, ma comunque impressionante. Meglio bloccare la sospensione nelle salite più lunghe, ma tutto sommato la Patrol fa il suo dovere nel riportarti su per la collina.

In discesa, il Patrol è – in una sola parola – divertente. Ogni Transition che ho provato ha una cosa in comune: una grande reattività. Non sono sicuro se sia il layup del carbonio, la cinematica o una combinazione delle due, ma la Patrol, come la Sentinel, la Spur e la Spire, ama staccare le ruote da terra. Trovo che nei salti su cui normalmente devo tirarmi su la bici per chiuderli, con un minimo sforzo raggiungo l’atterraggio. Questo aspetto è codificato nel DNA della bici e le geometrie, il peso ridotto e il formato mullet si sommano in una bici che è semplicemente un vero spasso da guidare.

Per quanto riguarda le prestazioni nello sconnesso, la Patrol ha un bel po’ di anti-squat, che è in parte responsabile della sua reattività, quindi non è proprio una spianatutto. Penso che la sospensione sia pensata abbastanza bene: leggera e sensibile all’inizio, sostenuta ma morbida a metà corsa e con una buona resistenza al fondo corsa. Avendo provato ammortizzatori sia ad aria che a molla sulla Patrol, posso dire che non sorprende che la molla fornisca un tocco in più di grip e prestazioni migliori nei colpi di media entità in rapida successione rispetto all’aria, compensando così gran parte della differenza dovuta alla ruota posteriore da 27.5″ rispetto a una 29″ completa. Il formato mullet è proprio la caratteristica distintiva di questa bici. Per il rider a cui piacciono i sentieri e la guida altamente dinamici è ottima poiché la parte posteriore della bici è altamente maneggevole mentre l’avantreno resta sempre stabile su ogni terreno.

Conclusioni

Quindi, dove si colloca la Patrol? In caso non si fosse capito, sono estremamente contento di questa bici. Per un telaio che ha solo un semplice flip chip, offre possibilità di configurazioni quasi infinite, da un vivace tuttofare a un’arma da freeride a doppia piastra con ammortizzatori ad aria o a molla, differente escursione e serie sterzo regolabile. La configurazione di serie a 160mm di escursione anteriore e posteriore lo colloca perfettamente tra Sentinel e Spire ma con uno spirito più giocoso che ti lascia un sorriso stampato in faccia.

Transition Patrol Carbon

Penso che Transition offra un eccellente rapporto qualità-prezzo per l’intera gamma, sia per i modelli in carbonio che in alluminio. Oltre al fatto che la bici è coperta da una garanzia a vita, il supporto di Transition è semplicemente fantastico e sul sito si può acquistare qualsiasi piccola parte di ricambio di cui si può aver bisogno per la Patrol Carbon. Reputo la Patrol Carbon una delle migliori mountain bike tuttofare sul mercato al momento.

www.transitionbikes.com

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Classified Powershift: il cambio nel mozzo https://www.mtb-mag.com/classified-powershift-il-cambio-nel-mozzo/ https://www.mtb-mag.com/classified-powershift-il-cambio-nel-mozzo/#respond Tue, 04 Apr 2023 05:25:03 +0000 https://www.mtb-mag.com/?p=390112 Classified Powershift

Classified presenta il Powershift, pensato per aumentare il numero di marce della MTB tramite un sistema interno al perno della ruota posteriore, azionato da un comando remoto wireless a manubrio. Nel video Stefano e Michele vi spiegano come è fatto e come funziona sul campo. Per ulteriori dettagli continuate la lettura più sotto. Classified Powershift: il funzionamento Tre sono i componenti del Powershift: il manettino a manubrio, il perno passante con il ricevitore del segnale wireless, ed il mozzo in cui si trova il meccanismo di moltiplica vero e proprio. Il mozzo passa fra 2 rapporti in 150 millisecondi, un

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Classified presenta il Powershift, pensato per aumentare il numero di marce della MTB tramite un sistema interno al perno della ruota posteriore, azionato da un comando remoto wireless a manubrio.

Nel video Stefano e Michele vi spiegano come è fatto e come funziona sul campo. Per ulteriori dettagli continuate la lettura più sotto.

Classified Powershift: il funzionamento

Classified Powershift

Tre sono i componenti del Powershift: il manettino a manubrio, il perno passante con il ricevitore del segnale wireless, ed il mozzo in cui si trova il meccanismo di moltiplica vero e proprio.

Classified Powershift

Il mozzo passa fra 2 rapporti in 150 millisecondi, un rapporto 1/1 che accoppia la cassetta direttamente alla ruota, oppure un rapporto di riduzione di 0,7 che fa ruotare la cassetta più velocemente della ruota, aumentando il range complessivo della cassetta. Questa è dotata di 12 pignoni che vanno dall’11 al 40.

Classified Powershift

Il Powershift è compatibile con le trasmissioni a 12 velocità presenti sul mercato, quindi Sram Eagle (anche AXS) e Shimano 1×12. Al momento della prova non era ancora disponibile sul mercato il nuovo Eagle AXS, quindi non sappiamo se è compatibile con quel sistema.

Classified Powershift

Il fatto di poter ridurre il rapporto permette una scalatura più dolce della cassetta, come si vede nel seguente grafico. La cassetta è completamente in acciaio, compresi i pignoni più grandi, cosa che ne aumenta la durabilità nel tempo.

Così come permette di aumentare il range.

La cambiata del Powershift può avvenire anche sotto sforzo e da fermi.

Opzioni e prezzi

Il sistema viene venduto in tre diverse opzioni, dalla più completa che comprende anche le ruote, a quella in cui viene integrato in un mozzo a scelta.

Pesi

Classified

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Il nuovo SRAM Eagle AXS rivoluziona il mondo delle trasmissioni https://www.mtb-mag.com/il-nuovo-sram-eagle-axs-rivoluziona-il-mondo-delle-trasmissioni/ https://www.mtb-mag.com/il-nuovo-sram-eagle-axs-rivoluziona-il-mondo-delle-trasmissioni/#respond Tue, 21 Mar 2023 22:59:29 +0000 https://www.mtb-mag.com/?p=385358 SRAM Eagle AXS

Undici anni dopo l’introduzione della prima trasmissione monocorona, SRAM presenta il nuovo Eagle AXS che mi sento di definire una vera e propria rivoluzione per diverse caratteristiche totalmente nuove, come la mancanza di qualsiasi vite di regolazione e la rinuncia al classico forcellino, a cui si aggiunge la possibilità di cambiare sotto sforzo senza mai smettere di pedalare. Di seguito trovate il video di presentazione e del test che ho fatto negli ultimi due mesi, avendo montato il nuovo Eagle AXS sulla Canyon Spectral CFR. Più sotto trovate la stessa cosa in forma testuale, e i prezzi. Consiglio caldamente la

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Undici anni dopo l’introduzione della prima trasmissione monocorona, SRAM presenta il nuovo Eagle AXS che mi sento di definire una vera e propria rivoluzione per diverse caratteristiche totalmente nuove, come la mancanza di qualsiasi vite di regolazione e la rinuncia al classico forcellino, a cui si aggiunge la possibilità di cambiare sotto sforzo senza mai smettere di pedalare.

Di seguito trovate il video di presentazione e del test che ho fatto negli ultimi due mesi, avendo montato il nuovo Eagle AXS sulla Canyon Spectral CFR. Più sotto trovate la stessa cosa in forma testuale, e i prezzi. Consiglio caldamente la visione del video, in quando trovate la risposta alla domanda “se non c’è il forcellino, non si rompe il telaio in caso di caduta?” con un test reale.

Cominciamo dall’inizio, e cioé l’introduzione dell’Universal Rear Derailleur Hanger quattro anni fa. Ai tempi tutti pensavamo che finalmente qualcuno fosse venuto incontro alle esigenze dei biker che non avrebbero più dovuto impazzire per trovare e sostituire il proprio forcellino in caso di rottura. Vero solo fino in parte. In realtà si trattava di una mossa di SRAM tesa a spianare la strada per la trasmissione che vi presentiamo oggi, e che fa a meno di quell’elemento problematico che è proprio il forcellino. Ormai si trova su più di 200 modelli di mountain bike, tendenza in aumento.

Infatti il forcellino storto è la causa principale del malfunzionamento del deragliatore, tanto che, quando SRAM venne nella nostra sede per farci provare il primo Eagle 1×12 ben sette anni fa, la prima cosa che fece fu quella di controllare che il forcellino fosse dritto.

SRAM Eagle AXS

Avrete capito dunque che il nuovo Eagle AXS non ha 13 velocità: ne mantiene 12 ma è stato progettato per aumentarne robustezza, affidabilità e facilità d’uso. Riguardo a questo ultimo aspetto, non vi troviamo nessuna vite di regolazione, neanche quelle per il fondocorsa. Tutto viene stabilito dalla lunghezza della catena, che sarà specifica per ogni telaio presente sul mercato. Il resto è gestito dall’elettronica, infatti il nuovo Eagle è solo AXS, cioé wireless. Niente paura, l’Eagle meccanico che conosciamo continua a venire venduto.

SRAM Eagle AXS

Il deragliatore

La forma massiccia del nuovo deragliatore SRAM Eagle AXS dice tutto: è pensato per resistere agli urti e per non disintegrarsi contro la prima roccia. Non è un proclama di marketing: vi rimando al video per vedere come non si scompone di fronte a forti impatti, oppure guardate la famosa caduta di Nino Schurter durante i campionati del mondo 2022, proprio sul lato trasmissione. Ha potuto continuare (e vincere) la gara come se niente fosse. Ovviamente tutto ciò é reso possibile dalla mancanza del classico forcellino, troppo prone a piegarsi.

SRAM Eagle AXS

Il deragliatore ruota attorno alla cassetta, mantenendo da essa una distanza che è sempre la stessa, anche se si tira fuori la ruota. Per regolarlo basta montarlo e mettere in tensione la catena. Nel caso delle full bisogna considerare il sag, come sul vecchio Eagle ma, visto che nessuno lo fa, ora il chain gap corretto si ha solo quando si sale sulla bici.
La soluzione per trovare il chain gap è data da una una specie di flip chip da regolare diversamente a seconda se sia una front o una full, su indicazione del produttore del telaio.

Una novità che farà piacere a tutti è che la gabbia si può separare dal deragliatore e cambiare semplicemente svitandola a mano. Può così venire sostituita con una nuova, disponibile in commercio come pezzo di ricambio.

Per quanto riguarda il funzionamento, la puleggia alta è sempre in linea con la cassetta, quella sotto invece si inclina, mentre la posizione del deragliatore è più interna (circa 1cm) rispetto al vecchio Eagle, aumentando la protezione agli impatti. A tal proposito, anche la parte più esterna, quella che viene graffiata per prima, è intercambiabile e acquistabile come ricambio.

Il deragliatore è alimentato dalla solita batteria che troviamo su tutte le trasmissioni elettroniche SRAM, comprese quelle da strada, e sul Reverb AXS. Ho notato che il nuovo Eagle richiede più energia rispetto al vecchio, è quindi necessario ricaricare la batteria più spesso.

Cassetta

La nuova cassetta Eagle è un pezzo unico, con i  3 pignoni più grandi attaccati con uno spider tramite dei pin, ma non sono intercambiabili perché il processo di attacco richiede macchinari specifici con grandi forze. Sono separati dal resto della cassetta per risparmiare peso e perché non hanno una forma concava come sulle vecchie cassette. Non sono lavorati al cnc ma forgiati, mentre il resto è lavorato al cnc.

La spaziatura cambia, ovviando al grosso salto che si aveva prima dal 42 al 50/52, infatti ora è presente un 44, posto in mezzo fra il 38 e il 52. Gli altri pignoni rimangono identici, partendo dal 10, il più piccolo.

Per il setup è necessario mettere la catena sul 7° pignone (segno rosso), con la catena della lunghezza data, stringere il bullone, ed è fatto. Vi rimando a questo tutorial che spiega bene tutto il processo di montaggio del nuovo Eagle AXS.

Come dicevo ad inizio articolo, ora è possibile cambiare sotto sforzo, sia che si cambi verso l’alto o verso il basso. Questo grazie al fatto che la catena è sempre nella stessa posizione rispetto ai pignoni perché i denti hanno una forma completamente diversa (x-sync) che tengono la catena a posto (come i vecchi narrow-wide), così la distanza è sempre la stessa.

Se si cambia più pignoni alla volta il software controlla il processo evitando che il deragliatore si trovi asincrono rispetto alla posizione della catena. Una specie di ritardo di cambiata per evitare di spaccare tutto.

Infine, i denti della cassetta sono più spessi.

Guarnitura

La guardnitura dell’Eagle X0 è in alluminio, con un nuovo disegno accattivante pensato per risparmiare peso. In pratica sono state tolte le parti che non erano importanti per la struttura dalla vecchia guarnitura Eagle GX in alluminio. 26 sono i grammi risparmiati rispetto alla guarnitura attuale. Quella del gruppo XX è in carbonio.

SRAM Eagle AXS

I bash guard sono rimuovibili anche sul sentiero con un multitool. A scelta se ne usano 2 o solo 1 se si tiene sempre lo stesso piede avanti. Io per esempio ho deciso di tenere solo quello che para i colpi quando tengo il piede destro in avanti. La lunghezza minima delle pedivelle disponibile sul mercato è di 165mm.

Catena

La nuova catena ha una forma piatta nella parte superiore delle maglie per adattarsi alla nuova dentatura della cassetta. A livello estetico questa caratteristica le conferisce un’aspetto più massiccio. Da notare che tutte le catene SRAM sono fatte in Portogallo.

SRAM Eagle AXS

Comandi elettronici

Cambia completamente anche il manettino, che ormai non ha più niente in comune con un manettino di una classica trasmissione meccanica. Infatti ci troviamo di fronte a due bottoni facili da posizionare dove si preferisce, anche nella parte sinistra del manubrio. Non solo, semplificando questo componente, si è anche riusciti a scendere di prezzo di quasi la metà rispetto ai vecchi, che rimangono tutt’ora utilizzabili anche sul nuovo Eagle per chi preferisce quella forma.

SRAM Eagle AXS

Anche con il nuovo Eagle AXS è possibile attivare il multishifting dall’app, cioé cambiare più pignoni tenendo premuto uno dei due bottoni.

Sul campo

Una volta stabilita la lunghezza della catena e tolto il forcellino UDH, il più è fatto. Da oggi SRAM dovrebbe avere sul proprio sito una lista di telai con la lunghezza della catena per ogni taglia. Si fissa il deragliatore al telaio, lo si mette nella posizione intermedia con il Cage Lock (sì, è una terza posizione che non esisteva prima),si monta la catena, la si mette in tensione e si serra il deragliatore a 35Nm. L’unica variabile è data dalla posizione A e B del flipchip, che distingue le front dalle full, cosa che troverete anch’essa online.

L’idea di semplificare il tutto è ottima, ma ancora meglio è il fatto che, una volta montata la nuova trasmissione, non dovrete più preoccuparvi del forcellino storto, la causa più frequente del malfunzionamento di qualsiasi trasmissione monocorona 1×12.

Ci sono due cose a cui mi sono dovuto abituare in questi mesi di test. La prima è il manettino con i bottoni per cambiare marcia. Essendo un funzionamento del tutto nuovo, non viene spontaneo e all’inizio richiede del tempo in cui si pensa a cosa si sta facendo. Mi capita tutt’ora, a dire il vero. La cosa positiva è che si potrebbe usare anche il vecchio manettino, ma questo è molto più ergonomico e facile da posizionare rispetto alla leva del freno. Con l’app si può decidere quale bottone scala in quale direzione, io ho tenuto quello superiore per andare verso i pignoni piccoli. Mi manca però la scalata con l’indice dell’Eagle AXS precedente.

La seconda cosa che richiede una fase di adattamento è che non si deve più togliere potenza dai pedali quando si cambia, indipendentemente che si vada verso un pignone piccolo o verso uno grande. In pratica non ci sono più scuse per mollare anche se solo per un decimo di secondo.

In gara questo fa la differenza, come mi ha confermato Filippo Colombo, che ha usato il nuovo Eagle già durante la stagione 2022. Mi diceva che in partenza chi aveva la nuova trasmissione riusciva a dare qualche metro di distacco a chi non ce l’aveva.

La mancanza del malefico forcellino fa sì che la cambiata sia sempre precisa e veloce, anche se all’inizio del test ho avuto dei problemi sul pignone del 38 perché la catena non girava fluida. Dopo un’upgrade tramite app (che era in versione beta), in cui il Microshift ha cominciato a lavorare come si deve, il problema è stato risolto. È impressionante la cambiata verso i pignoni piccoli sotto potenza: non ce se ne accorge quasi.

Qui veniamo anche al punto saliente del nuovo Eagle: è e sarà solo una trasmissione elettronica, anche nell’evenutale gamma più bassa che forse vedremo a breve, dato che il software gioca un ruolo chiave sia nella regolazione della posizione base che nella cambiata. C’è chi potrà storcere il naso, e a queste persone dico di dare una bella occhiata al video, in particolare ai test di laboratorio che ho potuto filmare. Ormai l’evoluzione delle trasmissioni si gioca lì, sia su mountain bike che su bici da corsa.

Infine una parola sull’eterna diatrib SRAM – Shimano. Il gap fra le due aziende, in ambito MTB, si è di nuovo allargato a dismisura.

Considerazioni varie

Il mozzo Superboost è diventato obsoleto perché grazie all’UDH lo spazio ora c’è anche sul mozzo da 148mm. La cassetta è spostata di 2.5mm verso l’esterno, con linea catena 55mm, permettendo ai marchi di bici di avere spazio per il carro e linkage vario.

Il nuovo Eagle AXS non è compatibile con il vecchio, batteria a parte. È tutto un nuovo ecosistema.

Al momento SRAM presenta la gamma XX e X0, quest’ultimo pensato per l’enduro, con una guarnitura in alluminio molto accattivante. Esiste anche un XX per le Ebike, con una corona in due materiali: acciaio all’esterno e alluminio all’interno, per ovvi motivi di durevolezza. L’XX SL è invece pensato per il Cross Country. Per tutta la nuova gamma Eagle vi rimando al sito SRAM.

SRAM Eagle AXS

Pesi e gamma SRAM Eagle AXS

Di seguito i pesi rilevati sulla nostra bilancia.
Deragliatore XX senza batteria: 465 grammi
Batteria: 26 grammi
Guarnitura XX con 2 bash guard: 605 grammi
1 bash ring: 26 grammi
Cassetta XX 10-52T: 381 grammi
Comandi: 51 grammi


Prezzi SRAM Eagle AXS

Qui trovate il listino prezzi completo.

Domande? Leggete prima le FAQ:

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La nuova Canyon Neuron in prova https://www.mtb-mag.com/la-nuova-canyon-neuron-in-prova/ https://www.mtb-mag.com/la-nuova-canyon-neuron-in-prova/#respond Tue, 21 Mar 2023 09:59:37 +0000 https://www.mtb-mag.com/?p=389546 Canyon Neuron

Sono andato nella Sierra Nevada a provare la nuova Canyon Neuron, la bici da trail del marchio tedesco. Ruote da 29 pollici, 140mm di escursione anteriore e 130mm al posteriore e soprattuto più lunga e più bassa del modello precedente. Nel video trovate il test e la presentazione, più sotto i dettagli e le geometrie. Primo giorno di test Secondo giorno di test La nuova Canyon Neuron nei dettagli Geometria La Neuron aveva bisogno di una “ripassata” in termini di geometria, soprattutto per quanto riguarda l’angolo sella e il reach. Dettagli La nuova Canyon Neuron è disponibile in quattro modelli

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Sono andato nella Sierra Nevada a provare la nuova Canyon Neuron, la bici da trail del marchio tedesco. Ruote da 29 pollici, 140mm di escursione anteriore e 130mm al posteriore e soprattuto più lunga e più bassa del modello precedente.

Nel video trovate il test e la presentazione, più sotto i dettagli e le geometrie.

Primo giorno di test
Secondo giorno di test
La nuova Canyon Neuron nei dettagli

Geometria

La Neuron aveva bisogno di una “ripassata” in termini di geometria, soprattutto per quanto riguarda l’angolo sella e il reach.

Dettagli

La nuova Canyon Neuron è disponibile in quattro modelli con telaio in carbonio CF e in sette allestimenti in alluminio, compresa una versione per bambini, la Young Hero, e due per donne. Io ho potuto provare il modello top di gamma Neuron CF 9, dal prezzo di 4.999€, che trovo molto competitivo visto l’allestimento.

In taglia L il modello di punta pesa appena sopra i 13 kg. Nel triangolo anteriore può alloggiare un portaborraccia e un borsello porta attrezzi.

L’ammortizzatore senza piggy back è in linea con il montaggio pensato per non essere troppo pesante, visto che all’anteriore troviamo una Fox 34 che mi ha convinto in toto durante il test per la sua sensibilità e progressività.

Il funzionamento del carro aiuta molto in salita ad ammortizzatore aperto o in posizione intermedia, infatti è bello sostenuto nella corsa e, grazie anche ad un angolo sella di 76°, aiuta nelle rampe più ripide a tenere l’anteriore schiacciato a terra.

Trasmissione elettronica SRAM Eagle AXS, manubrio in carbonio e freni SRAM Code. Il cock pit non lascia niente da desiderare. Su una trail bike i Code fanno bene il loro lavoro.

C’è molto spazio per montare reggisella telescopici dall’escursione generosa, anche grazie ad un tubo piantone dritto.

Il passaggio interno dei cavi è guidato da dei tubi in cui farli scorrere, senza dover usare calamite o guide.

I cuscinetti sono oversize e ben schermati, per evitare che vi entri sporco pregiudicando la loro durata nel tempo.

Cerchi in carbonio DT Swiss: leggeri e non troppo rigidi, sono una buona scelta per salire e scendere bene.

I cavi passano dentro la serie sterzo. Una scelta che farà storcere il naso a molti ma a cui Canyon sembra ormai credere ciecamente.

Bello il guidacatena integrado nel telaio e la protezione contro il risucchio della catena posta sul fodero basso. Questa può essere spostata a seconda della grandezza della corona che si usa.

Infine una nota sul rapporto qualità/prezzo, veramente alto. 4.999€ per il top di gamma sono un buon prezzo. Trovate gli allestimenti e gli altri prezzi sul sito Canyon.

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