Amarcord Archives | MTB Mag https://www.mtb-mag.com/category/mag/amarcord/ Mountain Bike Magazine Thu, 27 Apr 2023 11:44:38 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.0.1 https://www.mtb-mag.com/wp-content/uploads/2022/09/cropped-MTBMAG-512x512new-2-32x32.png Amarcord Archives | MTB Mag https://www.mtb-mag.com/category/mag/amarcord/ 32 32 Le 5 bici da DH più longeve parte 5: Trek Session https://www.mtb-mag.com/le-5-bici-da-dh-piu-longeve-parte-5-trek-session/ https://www.mtb-mag.com/le-5-bici-da-dh-piu-longeve-parte-5-trek-session/#respond Sat, 22 Apr 2023 16:53:28 +0000 https://www.mtb-mag.com/?p=390613

Siamo arrivati all’ultimo episodio di questa breve serie di articoli con cui abbiamo ripercorso la storia delle 5 bici più longeve che correreanno in DH WC 2023. La protagonista di questo articolo è la più giovane tra i 5 modelli storici che hanno segnato l’era moderna del downhill, la Trek Session. Dal design iconico, nella sua sobrietà, al punto di aver ispirato molte bici a venire e il conseguente mantra “looks like a Session”, la bici da DH di Trek ha portato al successo numerosi top rider durante la sua carriera in World Cup. La prima Trek Session DH vede

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Siamo arrivati all’ultimo episodio di questa breve serie di articoli con cui abbiamo ripercorso la storia delle 5 bici più longeve che correreanno in DH WC 2023. La protagonista di questo articolo è la più giovane tra i 5 modelli storici che hanno segnato l’era moderna del downhill, la Trek Session. Dal design iconico, nella sua sobrietà, al punto di aver ispirato molte bici a venire e il conseguente mantra “looks like a Session”, la bici da DH di Trek ha portato al successo numerosi top rider durante la sua carriera in World Cup. La prima Trek Session DH vede la luce nel 2008. Eredita il nome dalla Session 10, un modello da freeride con 10 pollici di escursione con la quale ha in comune niente altro che il nome poiché Trek dedica a questo nuovo modello una serie di dettagli che la distinguono sia dalla Session 10 che dalla maggior parte delle bici da DH di quegli anni.

Su un telaio in alluminio molto leggero, la Session DH introduce il sistema di sospensione quadrilatero full floater con snodo ABP, tanto semplice quanto efficace e certamente innovativo a suo tempo, che sviluppa un’escursione di 200mm. Per il suo ingresso in pompa magna nel mondo della DH, Trek ha ingaggiato il super manager Martin Whiteley per dare vita al team Trek World Racing per il quale nel 2009 sono stati arruolati atleti del calibro di Justin Leov, Tracy Moseley, Andrew Neethling. ai quali nel 2011 si è aggiunto Aaron Gwin. Numerosi i podii nel 2009 mentre nel 2010 Tracy porta la Session al titolo iridato a Mont-Sainte-Anne e nel 2011 sia Tracy che Aaron vincono la overall di World Cup.

Forte dei successi del Trek World Racing, Trek affronta il primo aggiornamento della Session e a fine 2011 presenta il nuovo telaio in fibra di carbonio con il quale il team correrà la stagione 2012. Le caratteristiche principali restano simili alla precedente versione ma oltre al risparmio di ulteriori 800 grammi su un telaio già particolarmente leggero, la nuova Session DH offre 10mm di escursione in più e un ampio range di regolazione delle geometrie con un angolo di sterzo che va dai super aggressivi 62.5 gradi ai molto conservativi 65.4. Sulla nuova Session, Gwin ripete l’eccellente stagione vincente dell’anno precedente e torna a vincere il circuito di World Cup, diventando l’atleta di riferimento. Un pesante ingaggio da parte di Specialized gli fa abbandonare il Trek World Racing che per colmare il vuoto ingaggia un nuovo roster di atleti con Brook MacDonald, George Brannigan, Greg Williamson e un giovane Laurie Greenland che si affiancano a Neko Mulally.

Nel 2014 la Session riceve l’aggiornamento di rito che ha coinvolto tutte le principali bici da DH in quell’anno con il passaggio al formato ruota 27.5 pollici. Il telaio viene modificato molto poco, lavorando prevalentemente sulla biella e sul dimensionamento del carro. Lo scopo principale era quello di adeguare la bici al nuovo formato ruote senza stravolgerla, replicando il più possibile l’assetto vincente del modello precedente con ruote da 26 pollici. Su questo telaio il Trek World Racing ottiene buoni risultati ma nessuno degli atleti ottiene vittorie significative. I risultati migliori arrivano invece in ambito junior dove Greenland vince sia coppa che mondiali nel 2015.

Il 2016 porta una ventata di aria nuova con un cambio totale di atleti e di management del team grazie alla partnership con la famiglia Atherton. Il nome del team passa da Trek World Racing a Trek Factory Racing e Gee, Rachel e Dan sembrano trovarsi molto a loro agio con le bici del Winsconsin. A metà stagione iniziano a usare il nuovo modello che hanno aiutato a sviluppare con l’obiettivo di avere un telaio ancora più rigido ma soprattutto in previsione di montare il formato ruota da 29 pollici che Trek stava studiando già dal 2009 ma che ha lasciato in sospeso in attesa che ci fossero componenti da DH dedicati al nuovo formato. Nella foto di seguito vediamo proprio il primo prototipo di Session 29 del 2009, sempre con ABP ma con ammortizzatore posizionato verso l’alto per esigenze di spazio e con “soli” 180mm di escursione.

Nasce così la nuova Session DH, inizialmente per ruote da 27.5 e pochi mesi dopo, a inizio 2017, anche da 29 pollici. Il telaio mantiene inalterato il design tradizionale della Session ma con forme più lineari e sezioni massicce. Il sistema di sospensione ABP abbandona l’ancoraggio full floater dell’ammortizzatore e le geometrie diventano più lunghe e basse e con angolo sterzo ancora più disteso, sempre regolabili tramite flip chip (Mino Link) e calotte della serie sterzo. Mentre Gee è un po’ in calo rispetto alle sue stagioni migliori, Rachel diventa letteramente inarrestabile e inanella la sua celebre “stagione perfetta”, con il 100% di vittorie in World Cup (e di conseguenza la overall) e con il suo quarto titolo iridato, il secondo in Val di Sole. Nel 2018, ultima stagione con il Trek Factory Racing, Rachel guadagna nuovamente la overall di World Cup e l’oro ai mondiali di Lenzerheide.

A fine 2018 gli Atherton si separano da Trek per fondare il proprio marchio di bici. Il Trek Factory Racing ingaggia le giovani promesse Reece Wilson e Charlie Harrison e conferma il forte junior Kade Edwards, ormai elite. Il team ora è gestito direttamente da Trek e fino alla fine della stagione 2020 utilizza la versione da 29 pollici della Session, sia con entrambe le ruote da 29 che sperimentando le prime configurazioni mullet con cui vince nuovamente un titolo mondiale nel 2020 a Leogang con Reece Wilson. Nel 2021 si aggiunge al Trek Factory Racing il fuoriclasse francese Loris Vergier mentre Valentina Höll passa a Trek con il suo team che diventa RockShox Trek Race. Contestualmente Trek presenta la nuova Session, una versione squisitamente race che raccoglie diverse feature attualissime che per il brand del Winsconsin rappresentano in qualche modo un ritorno alle origini, come per esempio il fulcro alto (non altissimo rispetto ad altre competitor) con conseguente rinvio della catena.

Il telaio è in alluminio idroformato, il formato ruote può essere scelto tra 29 pollici e mullet e le geometrie sono decisamente race, regolabili tramite il tradizionale Mino Link. Il sistema di sospensione da 200mm di escursione, al netto del punto di infulcro, è comunque un quadrilatero single pivot con ABP e la curva di compressione può essere variata su due posizioni, più o meno progressiva, tramite un flip chip dedicato. Su questa bici Vali Höll vince la overall di World Cup nel 2021 e il suo primo titolo iridato a Les Gets nel 2022 dove Vergier ottiene la medaglia di bronzo, dopo essersi piazzato al secondo posto della overall.

In questo percorso evolutivo di ben 16 anni, la Session è chiaramente la bici che più di tutte quelle coinvolte in questa serie di articoli è rimasta fedele a se stessa con piccoli e costanti aggiornamenti che l’hanno resa una delle bici più titolate e vincenti nella storia della DH. Per il 2023 il Trek Factory Racing ha confermato Loris Vergier e Reece Wilson, affiancandogli i giovani atleti Kade Edwards e Bodhi Kuhn, mentre nel RockShox Trek Race è il rookie Tegan Cruz ad affiancare la campionessa del mondo Valentina Höll.

 

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Le 5 bici da DH più longeve parte 4: Giant Glory https://www.mtb-mag.com/le-5-bici-da-dh-piu-longeve-parte-4-giant-glory/ https://www.mtb-mag.com/le-5-bici-da-dh-piu-longeve-parte-4-giant-glory/#respond Fri, 14 Apr 2023 16:20:30 +0000 https://www.mtb-mag.com/?p=390228

Con la Giant Glory arriviamo al quarto episodio della serie di articoli in cui riportiamo alla memoria la storia delle 5 bici più longeve che correreanno in DH WC 2023. Il percorso storico della Glory parte nel 2005 quando Giant, già presente e vittoriosa nelle massime competizioni di DH da parecchi anni, inizia a lavorare su un prototipo che adotta il sistema di sospensione Maestro che accompagnerà la Glory fino ai giorni nostri. Il prototipo si basava su un telaio del precedente modello DH Team con sospensione single pivot, opportunamente adattato al nuovo sistema di sospensione Maestro, un virtual pivot

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Con la Giant Glory arriviamo al quarto episodio della serie di articoli in cui riportiamo alla memoria la storia delle 5 bici più longeve che correreanno in DH WC 2023. Il percorso storico della Glory parte nel 2005 quando Giant, già presente e vittoriosa nelle massime competizioni di DH da parecchi anni, inizia a lavorare su un prototipo che adotta il sistema di sospensione Maestro che accompagnerà la Glory fino ai giorni nostri. Il prototipo si basava su un telaio del precedente modello DH Team con sospensione single pivot, opportunamente adattato al nuovo sistema di sospensione Maestro, un virtual pivot a bracci corti. Da lì a poco sarebbe nata la prima Glory ufficiale, presentata al pubblico nel 2006. 223mm di escursione, geometrie moderatamente aggressive per quell’epoca e un telaio dalle linee decise e massicce. L’arma con cui Dan e Gee Atherton hanno corso la loro ultima stagione con Giant e con cui loro sorella Rachel ha esordito in World Cup… ma anche una delle bici da DH più apprezzate dai weekend warriors per il suo eccellente rapporto prezzo/prestazioni.

Nel 2010 Giant presenta il nuovo modello di Glory che ha subìto un’impressionante cura dimagrante. Il telaio è vistosamente più snello e le forme dei tubi sono molto elaborate grazie a un particolare sistema di idroformatura a olio che ha consentito a Giant di lavorare accuratamente sugli spessori per ridurre il peso del telaio di ben 1.500 grammi rispetto al precedente modello. Il sistema di sospensione resta ovviamente il Maestro ma l’escursione viene ridotta a 203mm poiché ugualmente efficace grazie alla curva di compressione radicalmente modificata anche grazie al nuovo posizionamento in verticale dell’ammortizzatore. A parte l’angolo di sterzo che resta invariato, le altre quote geometriche diventano più basse e lunghe. Con la presentazione di questo nuovo modello di Glory, Giant fonda il Giant Factory Off-Road Team e recluta un giovanissimo Danny Hart al suo primo anno elite. La stagione seguente, Hart scrive una pagina memorabile della DH con la sua indimenticabile discesa sul fango di Champery che lo incorona per la prima volta campione del mondo.

A metà stagione 2014 Giant sposa il formato ruota 27.5″ come tutti i principali competitor, quindi rinnova la Glory con un nuovo modello dedicato al formato ruota più grande invece di limitarsi ad adattare il telaio. Il triangolo anteriore resta molto simile ma con standover più basso mentre il carro è ora di dimensioni più compatte. La biella superiore è più piccola e di forma più sinuosa e comprime un ammortizzatore di interasse maggiore rispetto al modello precedente, pur sviluppando la medesima escursione di 203mm. Le geometrie sono moderne e ben calibrate grazie al contributo di Danny Hart, al suo ultimo anno nel Giant Factory Off-Road.

Nel 2015 Giant partorisce la prima Glory con telaio in fibra di carbonio su specifiche richieste di Hart e Neethling che però non ne usufruiranno poiché lasciano il team a fine 2014. Per la precisione è solo il triangolo anteriore a essere realizzato in materiale composito mentre il carro e le bielle sono sempre in lega di alluminio come il modello presentato la stagione precedente, dal quale eredita anche tutte le caratteristiche generali come geometrie, escursione e caratteristiche del sistema di sospensione mentre il cambio di materiale consente una riduzione di peso di 240 grammi. Giant inserisce nel Factory Off-Road Team il francese Yoann Barelli e il colombiano Marcelo Gutierrez che stava iniziando a piazzarsi sempre più spesso in top 20 e che diventerà la bandiera del colosso taiwanese per il resto della sua carriera in DH.

Dal 2019 Giant sta lavorando con i suoi atleti a una nuova versione di Glory e in queste stagioni di World Cup si sono susseguiti diversi prototipi che Giant sta mettendo a punto per definire tutti gli aspetti di quella che sarà la prossima Glory che uscirà ufficialmente sul mercato. I primi di questi prototipi montavano ruote da 29 pollici mentre i più recenti utilizzano la configurazione mullet che è ormai l’opzione preferenziale in coppa del mondo. Essendo in fase prototipale, il telaio è chiaramente in lega di alluminio per la facilità di intervenire con modifiche anche radicali, rispetto al carbonio, ma potrebbe essere una scelta confermata anche per la versione definitiva in quanto largamente adottata in ambito World Cup nelle ultime stagioni. Nel 2021 Gutierrez si ritira dalle competizioni internazionali di DH e Giant ingaggia in sua sostituzione il talentuoso Remi Thirion che negli anni si è ritagliato una certa notorietà grazie ad alcune run spettacolari.

Per la stagione 2023, Il Giant Factory Off-Road Team affianca a Thirion due giovani atleti australiani, i fratelli Luke e Remy Meier-Smith. Nella foto qui sopra vediamo Luke con l’ultimo prototipo di cui si hanno tracce e che dovrebbe essere la versione più vicina a quella definitiva della nuova Giant Glory. Una bici che in questi 18 anni si è costantemente evoluta di pari passo all’evoluzione della DH stessa ma che è sempre rimasta coerente al suo stile e design originario.

 

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Le 5 bici da DH più longeve parte 3: Commencal Supreme https://www.mtb-mag.com/le-5-bici-da-dh-piu-longeve-parte-3-commencal-supreme/ https://www.mtb-mag.com/le-5-bici-da-dh-piu-longeve-parte-3-commencal-supreme/#respond Wed, 05 Apr 2023 06:51:49 +0000 https://www.mtb-mag.com/?p=389961

Dopo la Santa Cruz V10 e la Specialized Demo, è la Commencal Supreme la terza bici più longeva della storia della DH, tra quelle che vedremo ai cancelletti di partenza delle gare di UCI DH World Cup 2023. La storia della Commencal Supreme è il secondo capitolo della biografia di Max Commencal nel mondo della DH, uno dei personaggi più rappresentativi di questa disciplina. Dopo aver fondato il marchio Sunn e averlo portato ai più grandi successi negli anni ’90, nel 2004 Max ha dato il suo nome alla sua nuova creazione, il marchio Commencal, che ha inaugurato proprio con

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Dopo la Santa Cruz V10 e la Specialized Demo, è la Commencal Supreme la terza bici più longeva della storia della DH, tra quelle che vedremo ai cancelletti di partenza delle gare di UCI DH World Cup 2023. La storia della Commencal Supreme è il secondo capitolo della biografia di Max Commencal nel mondo della DH, uno dei personaggi più rappresentativi di questa disciplina. Dopo aver fondato il marchio Sunn e averlo portato ai più grandi successi negli anni ’90, nel 2004 Max ha dato il suo nome alla sua nuova creazione, il marchio Commencal, che ha inaugurato proprio con la prima della lunga stirpe di Supreme. Una bici a suo modo innovativa che rispetto alle lunghissime escursioni dei concorrenti offriva solo 178mm di escursione posteriore, puntando tutto sulla curva di compressione, sulle geometrie equilibrate, personalizzabili sia come angolo di sterzo che come lunghezza del carro, e sulla maneggevolezza.

Nel 2005 la Supreme vince i mondiali di Livigno in mano all’icona femminile della DH Anne Caroline Chausson. A fine 2006 Max le ha dedicato un piccolo aggiornamento nella forma del top tube e del relativo ancoraggio dell’ammortizzatore. Il resto della bici resta uguale con il sistema di sospensione Contact System che altro non è che un single pivot con link che si occupano di comprimere l’ammortizzatore. Il team inizia a reclutare nomi importanti con l’ingresso nel 2006 di Cedric Gracia, già atleta di Max da junior ai tempi di Sunn, e nel 2007 della famiglia Atherton, con Rachel, Gee e Dan che hanno subito iniziato a collaborare allo sviluppo delle bici.

Nasce così la seconda versione della Supreme che gli Atherton iniziano usare a fine 2007 ma che viene ufficializzata nel 2008, con l’escursione che sale alla più canonica quota di 203mm, geometrie particolarmente aggressive, più basse e lunghe e con 64° di angolo di sterzo che poteva essere impostato a 63° tramite apposite calotte e lunghezza del carro regolabile. Il sistema di sospensione resta il Contact System, aggiornato nel posizionamento delle bielle. Con questa bici Gee e Rachel vincono entrambi il mondiale di Val di Sole nel 2008 oltre a numerose tappe di World Cup e Gee si piazza secondo anche alla Rampage, in un contesto a lui nuovo. Nel 2010 Commencal stringe la lunga partnership che dura tuttora con il team Riding Addiction di cui facevano parte Myriam Nicole e i fratelli Ruffin.

A fine 2010 Commencal rivoluziona la Supreme con un modello interamente nuovo che avremmo visto in gara nel 2011. Il Contact System viene abbandonato in favore di un altro sistema di sospensione, sempre single pivot ma a 4 bracci full floater, con compressione dell’ammortizzatore da ambo i lati. Mantiene invece la stessa escursione e le geometrie sono simili al modello precedente, solo leggermente aggiornate, ma sempre regolabili sia nell’angolo di sterzo che nella lunghezza del carro. A fine 2013, Commencal rivisita questa versione di Supreme per dotarla di ruote da 27.5″ e di una biella alleggerita. Gli Atherton hanno corso per una sola stagione sulla Supreme V3, nel 2011 prima di passare a GT, mentre il team Commencal Riding Addiction doveva ancora iniziare a inanellare risultati, quindi il palmares di questa versione ha all’attivo tre vittorie e diversi podii in World Cup ma non si fregia dei colori iridati.

A inizio stagione di World Cup del 2015, Commencal lascia tutti a bocca aperta con la quarta edizione della Supreme che spezza completamente la continuità con i precedenti modelli e porta una ventata di innovazione nel mondo della DH, diventando presto il riferimento a cui tutti gli altri marchi hanno attinto per restare competitivi. Con la Supreme V4, Commencal alza vertiginosamente il fulcro del sistema di sospensione single pivot indiretto, rendendo necessario il rinvio della catena, l’escursione sale a 220mm e le geometrie diventano ancora più aggressive e completamente rinnovate rispetto al modello precedente. I primi anni di questa versione il formato ruota resta il 27.5″ ma nel 2017 Commencal irrompe con il formato 29 pollici ed è tra i primissimi brand a portare le ruotone sui tracciati di DH.

Nel 2019 Commencal aggiorna la Supreme V4 con un carro notevolmente modificato e un sistema di sospensione rivisitato come rigidezza delle bielle e curva di compressione e anche il triangolo anteriore viene leggermente rivisto. Il formato è sempre 29 pollici ma alcuni degli atleti iniziano a provare la configurazione mullet che diventerà la versione definitiva a inizio stagione 2020. Dal 2015 al 2021, con le varie coniugazioni della Supreme V4 e con i diversi team che supporta, Commencal colleziona una quantità ingente di risultati, anche grazie all’arrivo di giovani talenti della scuola francese come Amaury Pierron, Thibaut Daprela, Benoit Coulanges e tanti altri, tra cui la svizzera Camille Balanche, che si affiancano a Myriam Nicole: tre titoli iridati femminili (due di Nicole e uno di Balanche), due circuiti World Cup (uno di Pierron e l’altro di Nicole) e la presenza praticamente fissa sul podio sia in World Cup che ai mondiali, oltre ai successi nelle categorie junior.

Tra il 2021 e il 2022 Commencal rivoluziona nuovamente la Supreme e fornisce il prototipo a una parte degli atleti e progressivamente a tutti gli altri durante la stagione 2022, quando questo prototipo diventa la Supreme V5 definitiva. La forma del telaio diventa sempre più minimale, le linee tese ed essenziali mostrano come Commencal sia sempre più interessata alle prestazioni che all’estetica. Viene utilizzato l’alluminio, come per tutta la stirpe di Supreme, il formato ruota è mullet nativo e il sistema di sospensione stravolge la tradizione single pivot della Supreme con un sofisticato sistema virtual pivot a 6 bracci che mantiene l’infulcro (istant center) alto, caratteristica del precedente modello, e quindi il rinvio catena. Nella stagione 2022 la Supreme V5 sale sul podio di entrambe le categorie elite ai mondiali di Les Gets e domina la overall di World Cup sia tra gli uomini con Amaury Pierron che tra le le donne con Camille Balanche prima e Myriam Nicole seconda.

Secondo la logica, con una sola stagione di gare alle spalle, Commencal proseguirà a fornire ai suoi atleti questo nuovo modello, quinta versione della Supreme… ma con una mente vulcanica come quella di Max ci si può aspettare di tutto e non mi stupirebbe vedere degli aggiornamenti anche a stagione iniziata, se ci fosse la possibilità di migliorare ulteriormente il progetto per essere ancora più competitivi sui campi gara.

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Le 5 bici da DH più longeve parte 2: Specialized Demo https://www.mtb-mag.com/le-5-bici-da-dh-piu-longeve-parte-2-specialized-demo/ https://www.mtb-mag.com/le-5-bici-da-dh-piu-longeve-parte-2-specialized-demo/#respond Fri, 31 Mar 2023 12:33:16 +0000 https://www.mtb-mag.com/?p=389518

Secondo appuntamento con gli approfondimenti sulle cinque bici più longeve che prenderanno parte alla stagione 2023 di UCI DH World Cup. La protagonista di questo articolo è la Specialized Demo, l’ammiraglia da DH del marchio della grande S, che è la seconda bici più “anziana” tra queste cinque, subito dopo la Santa Cruz V10 protagonista del primo approfondimento. La storia della Demo nasce nel 2004 con la Demo 9, una belva da 9 pollici di escursione (230mm) con telaio in alluminio e sistema di sospensione basato su un semplice giunto Horst come da tradizione Specialized tuttavia molto articolato per quegli

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Secondo appuntamento con gli approfondimenti sulle cinque bici più longeve che prenderanno parte alla stagione 2023 di UCI DH World Cup. La protagonista di questo articolo è la Specialized Demo, l’ammiraglia da DH del marchio della grande S, che è la seconda bici più “anziana” tra queste cinque, subito dopo la Santa Cruz V10 protagonista del primo approfondimento. La storia della Demo nasce nel 2004 con la Demo 9, una belva da 9 pollici di escursione (230mm) con telaio in alluminio e sistema di sospensione basato su un semplice giunto Horst come da tradizione Specialized tuttavia molto articolato per quegli anni, con il fodero basso con capriata superiore che si occupa di comprimere l’ammortizzatore.

Nel 2007 Specialized rinnova la Demo che mantiene il design del sistema di sospensione ma riceve un restyling generale delle geometrie e delle linee, più morbide e sinuose, abbandonando quell’aspetto spigoloso del primo modello. Per il modello da DH l’escursione passa da 9 a 8 pollici, opzione che nella prima versione era destinata al modello da freeride che invece in questa nuova edizione dispone di 7 pollici (Demo 7). Nel 2009 Specialized stringe una partnership con Sean Heimdal, team manager della fortissima squadra Mad Catz Racing (leggi l’articolo dedicato) che annoverava campioni del calibro di Sam Hill e Brendan Fairclough. La squadra prende il nome di Monster Energy – Specialized e nella prima stagione in sella alla Demo 8, Sam Hill vince la classifica generale di World Cup.

Nel 2010, l’apporto dei campioni del team e il confronto con le gare ha portato allo sviluppo della terza edizione della Demo che uscirà sul mercato l’anno successivo, dopo una stagione di gare. Il sistema di sospensione resta confermato mentre la bici in generale mostra chiaramente l’evoluzione prettamente race, con geometrie più lunghe e aggressive e un design del telaio più compatto, con baricentro molto più basso. Nel 2012 esce la versione in carbonio, pressoché identica alla sua controparte in alluminio che resta in gamma ma non viene più utilizzata in gara. A Hill e Brendog, Heimdal affianca il giovane talento Troy Brosnan e i due australiani, Hill e Brosnan, portano a Specialized due titoli mondiali, rispettivamente elite e junior, ai Worlds del 2010 di Mont-Sainte-Anne. La Specialized Demo viene così fregiata per la prima volta dei colori iridati. Brosnan bissa l’anno successivo a Champery, ancora da junior. Nel 2013 il team cambia formazione e viene reclutato Aaron Gwin da affiancare a Brosnan. Celebre la sua discesa senza copertone nel 2014 a Leogang.

A metà stagione 2014, dopo qualche esperimento con il formato 27.5″ sul telaio di quell’anno, viene affidato ad Aaron Gwin il nuovo modello di Demo per la sua ultima stagione in quello che è diventato lo Specialized Factory Team. In questa versione, che verrà commercializzata nel 2015, la Demo cambia interamente e radicalmente look. Il telaio è in fibra di carbonio, ancora più snello e basso di baricentro. Il sistema di sospensione è un cinematismo Horst molto particolare come dimensionamenti di bielle e carro che gli fanno assumere un aspetto per certi versi più simile a un Lawwill. Il triangolo anteriore ha forma asimmetrica nell’area dell’ammortizzatore. Le nuove geometrie, più aggressive, si possono anche regolare su due posizioni preimpostate e il formato ruota è il 27.5″ (o 650b, come preferiva chiamarlo Specialized). Nel 2016, con l’uscita di Gwin, Specialized stringe una partnership con Pure Agency che crea lo Specialized Gravity Team con i due giovani mattatori Loïc Bruni e Loris Vergier e il giovanissimo Finn Iles che si vanno ad affiancare a Brosnan, riunendo così in sella alla Demo, 4 degli atleti più forti di quel periodo (e non solo).

Nel 2017 Brosnan e Vergier cambiano squadra e Bruni diventa l’atleta simbolo di Specialized, sempre affiancato da Iles che è piuttosto discontinuo nel rendimento mentre Bruni porta costantemente risultati importanti tra cui due titoli mondiali, nel 2017 a Cairns e nel 2018 a Lenzerheide. Con la collaborazione del talento francese, nel 2019 nasce la quinta serie della Demo, per la quale viene adottato l’alluminio, ruote 29 pollici o mullet, ma che in gara viene usata prevalentemente nella seconda configurazione, geometrie ovviamente attualizzate e sistema di sospensione che ritorna a una versione vagamente più simile, sia concettualmente che esteticamente, a quella storica della Demo. Bruni porta questo nuovo modello, nella sua stagione di esordio, a vincere sia la overall di World Cup che i mondiali. Vince nuovamente la overall nel 2021 e i mondiali nel 2022.

Non abbiamo ancora conferma che il campione del mondo in carica Loïc Bruni, il suo compagno di team Finn Iles e la new entry Jordan Williams disputeranno la stagione 2023 con l’attuale modello di Demo. All’esordio di stagione, al Crankworx di Rotorua, Bruni ha corso proprio con questa bici, tuttavia considerando che il circuito di DH World Cup non inizierà prima di giugno, c’è ancora tempo per lavorare su un nuovo modello dato che l’attuale sarebbe già al suo quinto anno di gare. Se Specialized non cambierà telaio, magari Öhlins svelerà finalmente il sistema elettronico di comando remoto dell’ammortizzatore che il team cela sotto a un carter in carbonio ormai da diverse stagioni.

 

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Le 5 bici da DH più longeve parte 1: Santa Cruz V10 https://www.mtb-mag.com/le-5-bici-da-dh-piu-longeve-parte-1-santa-cruz-v10/ https://www.mtb-mag.com/le-5-bici-da-dh-piu-longeve-parte-1-santa-cruz-v10/#respond Mon, 20 Mar 2023 08:30:40 +0000 https://www.mtb-mag.com/?p=389487

La scorsa settimana abbiamo visto quali sono le cinque bici più longeve che vedremo correre in questa stagione di DH World Cup, dalla Santa Cruz V10 alla Trek Session. Come anticipato, nelle prossime settimane andremo a scoprire l’evoluzione di ciascuno di questi modelli e con l’articolo di oggi partiamo proprio dalla Santa Cruz V10, la più bici da DH con la storia più lunga tra quelle tuttora in gara. Nella foto seguente vediamo il prototipo che scenderà tra le fettucce di World Cup nel 2023 e che rappresenta l’anticipazione dell’ottava serie della DH del brand fondato dallo skater Rob Roskopp

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La scorsa settimana abbiamo visto quali sono le cinque bici più longeve che vedremo correre in questa stagione di DH World Cup, dalla Santa Cruz V10 alla Trek Session. Come anticipato, nelle prossime settimane andremo a scoprire l’evoluzione di ciascuno di questi modelli e con l’articolo di oggi partiamo proprio dalla Santa Cruz V10, la più bici da DH con la storia più lunga tra quelle tuttora in gara. Nella foto seguente vediamo il prototipo che scenderà tra le fettucce di World Cup nel 2023 e che rappresenta l’anticipazione dell’ottava serie della DH del brand fondato dallo skater Rob Roskopp (protagonista di un articolo amarcord che potete leggere qui).

La storia del V10 nasce nel lontano 2002, poco dopo che Santa Cruz acquista il brevetto del sistema di sospensione Virtual Pivot Point (VPP) e lo declina per la prima volta su una bici da discesa, pensionando la precedente Super 8 con sistema di sospensione single pivot per iniziare la stirpe del V10. Il nome fonde l’iniziale della parola Virtual con il numero che rappresenta i pollici di escursione della ruota posteriore. Ben 254mm tradotti in sistema metrico decimale che rendono la nuova V10 una belva con un sistema di sospensione innovativo e di riferimento per il mercato di quel tempo, decisamente anni luce avanti rispetto alla precedente Super 8. Telaio realizzato con tubazioni dritte in alluminio, barra di rinvio della pinza freno per ottimizzare l’anti-rise e geometrie particolari con un angolo di sterzo di soli 67° poiché l’abbondante sag avrebbe poi contribuito a renderlo più disteso.

Nel 2005 Santa Cruz aggiorna il V10 con il nuovo design “con la gobba” che caratterizzerà per diversi anni la sua intera gamma, inclusi altri modelli celebri a quei tempi come il Nomad e la Jackall. Sono gli anni del Santa Cruz Syndicate quando Roskopp mette insieme un team di campioni per dare risalto alla sua creazione, assoldando Steve Peat, Nathan Rennie e un giovanissimo Josh Bryceland. Il nuovo modello in mano al team è sempre in alluminio ma molto curato nelle linee, perde la barra di rinvio del freno ma acquisisce un parafango integrato in carbonio (una vera chicca per quei tempi). L’escursione resta di 10 pollici e anche le geometrie restano per lo più invariate, mantenendo anche il concept per cui sarà l’abbondante sag a creare delle geometrie dinamiche molto più aggressive rispetto a quelle statiche. Nella foto seguente vediamo un modello del 2006 con livrea esclusiva per il team Syndicate e personalizzazione dedicata a Peaty per il mondiale di Rotorua, dove Rennie per altro ha conquistato una medaglia di bronzo.

Nel 2007 Santa Cruz aggiorna nuovamente il V10 con piccoli ritocchi, mantenendo anche lo stesso design ma più snello e con linee più filanti. Abbassa notevolmente lo standover ma il resto delle quote geometriche sono pressoché identiche al precedente modello, compreso l’angolo di sterzo che scende di mezzo grado esclusivamente per il fatto che rispetto ai precedenti modelli, le geometrie dichiarate sono basate su una forcella da 200mm di escursione invece che da 180mm. Diminuisce anche il peso, per la richiesta in quegli anni da parte degli atleti di avere bici da discesa più leggere a vantaggio della maneggevolezza e della resistenza fisica in gara. Atleti come Peat adottavano scelte da grammomaniaci per ridurre il peso arrivando addirittura a montare solo 3 viti dei dischi invece di 6. Il 2008 vede l’ingresso nel team Syndicate di Greg Minnaar, portacolori del team fino ai giorni nostri. Nello stesso anno Peaty arriva secondo ai mondiali in Val di Sole mentre nel 2009 porta il V10 (quello che vedete in foto) alla vittoria dei mondiali di Cairns, in Australia, seguito da Minnaar sul secondo gradino del podio, che nel 2010 conclude al terzo posto a Mont-Sainte-Anne.

Nel 2011 il V10 entra nella sua era moderna con la prima versione con telaio in fibra di carbonio e il design che di base è quello mantenuto fino all’attuale versione, snello e lineare. Gli atleti del team sottolineano la necessità di un telaio maggiormente reattivo che si ottimizzi alle caratteristiche dei tracciati “new school” di quel periodo, in cui spesso si dovevano affrontare lunghi tratti pedalati e che vedevano una massiccia presenza di salti e sponde. Santa Cruz ha quindi introdotto la possibilità di impostare l’escursione su due differenti impostazioni, quella classica da 10 pollici e una da 8.5 pollici, 216mm per noi europei. Anche le geometrie diventano più lunghe e distese con la possibilità di cambiare l’angolo di sterzo tramite calotte intercambiabili e anche in base alla posizione del flip-chip che determina la diversa escursione, per cui il range varia da 63 a 66 gradi.

Durante il 2012 il team Syndicate inizia a utilizzare la quinta versione del V10 che di fatto è un leggero restyling della precedente versione dalla quale eredita tutte le suddette caratteristiche, incluse le geometrie, ma con un telaio ulteriormente alleggerito nelle forme e nel peso finale, anche grazie all’adozione della nuova tipologia di carbonio di qualità superiore. Con questa versione del V10, che uscirà sul mercato nel 2013, Minnaar vince il mondiale di Leogang già nel 2012 e bissa l’anno successivo sul tracciato di casa a Pietermaritzburg, mentre Bryceland arriva secondo nel 2014 a Hafjell.

Durante la stagione di gara 2014 si inizia a sperimentare il formato ruota 27.5″ e dopo alcuni prototipi, nel 2015 esce la versione definitiva del V10 con formato ruota 650b. Il design del telaio è invariato, solo aggiustato nella forma per dare spazio alle ruote di diametro maggiore e abbassare il baricentro. Le geometrie sono di conseguenza più lunghe mentre l’angolo sterzo si assesta sulla quota fissa di 64° e sparisce l’opzione da 10″ di escursione privilegiando l’escursione da 216mm come unica disponibile. Nel 2015 Minnaar e Bryceland conquistano rispettivamente argento e bronzo ai Worlds di Vallnord.

Tra il 2017 e il 2018 il formato ruota 27.5″ cominciava ad andare stretto al V10, sia perché molti competitor avevano già iniziato a usare efficacemente il formato ruota da 29 pollici, sia perché Minnaar se ne faceva promotore data la sua altezza sopra la media. Iniziano così a sviluppare i primi prototipi da 29 pollici che hanno portato all’attuale V10, la settima versione, che dal 2018 al 2022 è stato utilizzato sia con ruote da 29″ che in configurazione mullet, mentre per la vendita al pubblico era disponibile anche una versione da 27.5″. Escursione da 215mm e geometrie più aggressive della precedente versione. Con questo telaio Greg Minnaar ha conquistato il suo 4° titolo iridato in Val di Sole nel 2021.

La storia del V10 si conclude con l’ottava versione di cui ancora non sappiamo molto dato che è ancora in fase prototipale ma che quasi certamente adotterà la configurazione mullet per il formato ruota con un sistema VPP ottimizzato per competere con le bici antagoniste, la maggior parte delle quali adotta un sistema a influcro alto per migliorare il comportamento della sospensione e il percorso ruota sui tracciati più sconnessi.

 

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Le 5 bici più longeve che correranno in DH WC 2023 https://www.mtb-mag.com/le-5-bici-piu-longeve-che-correranno-in-dh-wc-2023/ https://www.mtb-mag.com/le-5-bici-piu-longeve-che-correranno-in-dh-wc-2023/#respond Tue, 14 Mar 2023 22:39:44 +0000 https://www.mtb-mag.com/?p=389177

Il circuito UCI DH World Cup inizierà tardi quest’anno, con la prima tappa a Lenzerheide dal 9 al 11 giugno. Una off-season più lunga del solito quindi, che sta consentendo ai team di sviluppare con relativa calma le novità e i prototipi che vedremo nella stagione di gare 2023. Alcune di queste bici sono l’ultima versione di una lunga serie di restyling e aggiornamenti che hanno segnato l’evoluzione della DH stessa come pietre miliari nella storia di questa disciplina. In questo articolo andremo a vedere quali sono i modelli di bici più longevi della storia del downhill mentre nelle prossime

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Il circuito UCI DH World Cup inizierà tardi quest’anno, con la prima tappa a Lenzerheide dal 9 al 11 giugno. Una off-season più lunga del solito quindi, che sta consentendo ai team di sviluppare con relativa calma le novità e i prototipi che vedremo nella stagione di gare 2023. Alcune di queste bici sono l’ultima versione di una lunga serie di restyling e aggiornamenti che hanno segnato l’evoluzione della DH stessa come pietre miliari nella storia di questa disciplina.

In questo articolo andremo a vedere quali sono i modelli di bici più longevi della storia del downhill mentre nelle prossime settimane entreremo ancora più nel dettaglio, approfondendo le tappe dell’evoluzione di ciascuno di questi modelli. Le 5 bici più longeve sono tutte precedenti il 2008, quindi hanno all’attivo almeno 15 stagioni di UCI DH World Cup e altrettanti campionati del mondo.

Santa Cruz V10 – 2002

Il brand californiano fondato da Rob Roskopp lanciò la sua prima bici da DH dotata di sistema di sospensione VPP nel lontano 2002 e questo rende il V10 il modello attualmente più longevo in DH World Cup. Recentemente abbiamo parlato del nuovo prototipo che vedremo nella stagione 2023 sul quale il team Syndicate sta ancora lavorando, soprattutto per quanto concerne i link della sospensione, mentre triangolo anteriore e carro, entrambi in carbonio, pare siano già in versione definitiva.

Nel team Syndicate 2023, in sella all’ottava generazione di V10, troviamo il giovane talento Jackson Goldstone e il velocissimo Laurie Greenland ad affiancare l’inarrestabile Greg Minnaar e Nina Hoffmann, prima atleta donna nella storia del team.

Specialized Demo – 2004

La storia di Specialized in DH coincide praticamente con la storia della DH stessa. Tuttavia la stirpe delle bici da DH con il nome Demo nacque nel 2004 con la Demo 9 e prosegue sino a oggi, rappresentando la seconda bici più longeva della storia della DH tra quelle attualmente in gara. La versione 2023 non è ancora stata ufficializzata ma attualmente Loïc Bruni sta girando su un modello che sembrerebbe identico a quello della stagione 2022. Telaio in alluminio, configurazione mullet e sospensioni Öhlins prototipo (non quelle in foto) con controllo elettronico e ammortizzatore tenuto accuratamente nascosto da un carter.

Al 5 volte campione del mondo si aggiungono nello Specialized Gravity l’asso canadese Finn Iles e il giovanissimo Jordan Williams.

Commencal Supreme DH – 2004

A distanza di qualche anno dai successi con Sunn, Max Commencal ripartì dando il suo nome al famoso brand del Principato di Andorra e la sua prima creazione fu proprio la Supreme DH, nel 2004. Una storia lunga quella dell’ammiraglia di casa Commencal che durante la sua evoluzione ha spesso cambiato interamente volto, con modelli che rispetto ai precedenti avevano in comune solo il nome. Negli ultimi anni Max è tornato a osare parecchio, rompendo gli schemi e marcando la strada da percorrere come ai tempi di Sunn, con soluzioni sempre più innovative alla ricerca dei risultati che sono fioccati in tutte le categorie grazie a diversi team supportati. L’attuale Supreme DH utilizza un sofisticato sistema virtual pivot, formato ruote misto e telaio in lega di alluminio.

I due team principali sono il Commencal Muc-Off by Riding Addiction e il Dorval AM Commencal. Il primo annovera campioni del calibro di Amaury Pierron, Thibaut Daprela e Miriam Nicole, affiancati da Gaetan Ruffin e Hugo Marini. Il secondo non è da meno con Camille Balanche e Benoit Coulanges, Baptiste Pierron, Monika Hrastnik a cui si aggiunge il veterano Samuel Zbinden tornato alle gare di coppa.

Giant Glory DH – 2006

Una storia decisamente lunga anche quella della Giant Glory che nacque ufficialmente nel 2006 ma già a fine 2005 si iniziarono a vedere i primissimi prototipi del sistema di sospensione Maestro montati sul triangolo anteriore riadattato di un DH Team, il precedente modello da DH di Giant. Tra tutte le bici più longeve, la Glory è quella rimasta più fedele a se stessa nei suoi periodici aggiornamenti. La sua ultima evoluzione, l’attuale modello in mano al Giant Factory Off-Road per intenderci, è un prototipo in lega di alluminio con ruote mullet e ovviamente sistema di sospensione Maestro.

Il roster del team non vede nomi di top rider da diversi anni ormai ma per la stagione 2023 il colosso taiwanese si è risvegliato dal torpore delle ultime stagioni e ha affiancato due giovani e veloci fratelli australiani, Luke e Remy Meier-Smith, al rider di punta Rémi Thirion.

Trek Session DH – 2008

Trek si avvicinò alla DH nel 2007 con la Session 10 che nacque tuttavia come bici da freeride. Fu nel 2008 con la prima Session DH e un team reclutato appositamente per l’esordio in World Cup che il marchio del Winsconsin fece il suo ingresso ufficiale nel circus del downhill. Per l’occasione, Trek presentò una bici che a suo tempo fece scalpore per alcuni elementi chiave, molto diversi dai trend dell’epoca. La Session era leggera, semplice sia nella forma che nella tecnologia con l’appena brevettato sistema di sospensione con snodo ABP che era (ed è) tanto semplice quanto innovativo ed efficace. Trek resta fedele a queste caratteristiche lungo tutta la storia della Session DH fino alla sua attuale versione sulla quale il sistema di sospensione ABP viene implementato con l’adozione di un infulcro medio/alto con conseguente rinvio della catena.

Il team ufficiale Trek Factory Racing vanta tra le sue fila campioni di spessore come Loris Vergier e Reece Wilson ai quali si affiancano le giovani leve Kade Edwards e Bodhi Kuhn. Un secondo team, il RockShox Trek Race, mette in sella alla Session due nomi importanti come Valentina Höll e il giovanissimo Tegan Cruz.

Menzioni speciali

Una menzione speciale va decisamente a Intense che, seppure abbia cambiato nome ai suoi modelli da DH a ogni evoluzione, ha mantenuto un fil rouge che possiamo identificare come “serie M”. Il primo modello, la pionieristica M1, nasceva nel lontano 1994, con sistema di sospensione single pivot indiretto successivamente divenuto un giunto Horst nel 2002, mentre dal successivo modello M3 in poi l’eclettico Jeff Steber ha adottato su licenza di Santa Cruz il sistema VPP, declinato in diversi modi. Per il prototipo del 2022 in mano ad Aaron Gwin e Dakotah Norton ha fatto ritorno al giunto Horst, ma con infulcro alto e rinvio della catena. Ai due atleti statunitensi per il 2023 si aggiungono Joe Breeden e Seth Sherlock.

Infine non dimentichiamo due nomi importanti: la Fury di GT e la Summum di Mondraker. La prima edizione di entrambe queste bici nacque nel 2009 e sia per lo storico marchio fondato da Gary Turner che per il brand iberico, si tratta di modelli che hanno portato numerose vittorie e un glorioso palmares. Nel 2023 la Fury sarà in mano a Wyn Masters, Jess Blewitt, Ethan Craik e Ryan Pinkerton. Sulla Summum, Mondraker conferma la talentuosa azzurra Eleonora Farina, Brook Macdonald, David Trummer, Jacob Dickson, Tuhoto-Ariki Pene e Toby Meek e aggiunge Kilian Schnöller.

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Sette bici del 2013 contro sette bici del 2023 https://www.mtb-mag.com/sette-bici-del-2013-contro-sette-bici-del-2023/ https://www.mtb-mag.com/sette-bici-del-2013-contro-sette-bici-del-2023/#respond Fri, 27 Jan 2023 22:29:29 +0000 https://www.mtb-mag.com/?p=387828

Parlando del 2013, non sembra tutto sommato che sia passato così tanto tempo, soprattutto per quelli tra noi che praticano MTB da parecchi anni. Eppure per ciò che riguarda le mountain bike, un gap di 10 anni è mostruosamente imponente. Un confronto diretto tra le bici del 2013 e del 2023 può ricordarci quanta evoluzione ci sia stata e dove sia arrivata la MTB oggi, con molti dettagli che diamo per scontati ma che sono frutto di un continuo perfezionamento. Quante novità sono state oggetto di discussioni infinite sul forum tra sostenitori e detrattori? Quante innovazioni sono state soppesate, criticate,

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Parlando del 2013, non sembra tutto sommato che sia passato così tanto tempo, soprattutto per quelli tra noi che praticano MTB da parecchi anni. Eppure per ciò che riguarda le mountain bike, un gap di 10 anni è mostruosamente imponente. Un confronto diretto tra le bici del 2013 e del 2023 può ricordarci quanta evoluzione ci sia stata e dove sia arrivata la MTB oggi, con molti dettagli che diamo per scontati ma che sono frutto di un continuo perfezionamento. Quante novità sono state oggetto di discussioni infinite sul forum tra sostenitori e detrattori? Quante innovazioni sono state soppesate, criticate, amate e odiate per poi essere diventate la norma della moderna mountain bike?

Ripercorriamo quest’ultimo decennio con le immagini che ritraggono alcuni dei modelli più popolari nella versione 2013 affiancata alla versione 2023. A parte l’inequivocabile messaggio che nel 2013 andava di moda il verde acido, queste immagini ci comunicano molto della darwiniana evoluzione che ha partorito le super performanti MTB odierne. Qual è la differenza che più vi colpisce? C’è qualche dettaglio delle bici del 2013 che avreste conservato e qualcosa che invece proprio non digerite delle bici attuali?

Cannondale Jekyll

Jekyll 2013: ruote da 26″, escursione 150mm davanti e dietro, tubo sterzo da 1.5″, angolo sterzo 67.8°, angolo sella 73.5°, movimento centrale BB30, ammortizzatore proprietario FOX DYAD RT2.

Jekyll 2023: ruote da 29″, escursione 170/165mm, movimento centale filettato, angolo sterzo 64°, angolo sella 77.5°.

Canyon Lux

Lux 2013: ruote da 29″, escursione 100/100mm, angolo sterzo 70°, angolo sella 74°, movimento centrale press fit.

Lux 2023: ruote da 29″, escursione 100/100mm, angolo sterzo 68.5°, angolo sella 75°, movimento centrale press fit.

Commencal Supreme DH

Supreme 2013: ruote da 26″, escursione 180/180mm, angolo sterzo 64°.

Supreme 2023: mullet, escursione 200/200mm, angolo sterzo 63,2-63.7°.

Santa Cruz V10

V10 2013: ruote da 26″, escursione posteriore 216/254mm, anteriore 200mm, angolo sterzo 65-64°.

V10 2023: 29″ o 27″, escursione posteriore 215mm, anteriore 200mm, angolo sterzo 63.3-63.7°.

Scott Spark

Spark 2013: ruote da 29″, escursione 100/100mm, angolo sterzo 69.5-70.1°, angolo sella 73.1-72.5° , movimento centrale BB71.

Spark 2023: ruote da 292, escursione 120/120mm, angolo sterzo 67.2°, angolo sella 76.1°, movimento centrale pressfit.

Specialized Enduro

Enduro 2013: ruote da 29 o da 26 pollici, escursione 170/165mm, angolo sterzo 66.5°, angolo sella ?, movimento centrale Pressfit BB30.

Enduro 2023: ruote da 29 pollici, escursione 170/170mm, angolo sterzo 64.3°, angolo sella 76°, movimento centrale filettato.

Trek Fuel EX

Fuel Ex 2013: ruote da 26″, escursione 130/130mm, angolo sterzo 68°, angolo sella 73°, movimento centrale Shimano Octalink.

Fuel Ex 2023: ruote da 29″ o mullet, escursione 150/140mm, angolo sterzo 64.5°, angolo sella 77.5°, movimento centrale filettato.

 

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[Amarcord] 3 video pietre miliari della MTB https://www.mtb-mag.com/amarcord-3-video-pietre-miliari-della-mtb/ https://www.mtb-mag.com/amarcord-3-video-pietre-miliari-della-mtb/#respond Fri, 10 Apr 2020 10:15:58 +0000 https://www.mtb-mag.com/?p=234829

In questo periodo di reclusione domiciliare imposta dal Governo nel tentativo, speriamo quanto più efficace possibile, di arginare il contagio da Covid-19, ognuno di noi sta cercando di occupare il proprio tempo in attesa di poter tornare a qualcosa di quanto più simile possibile alla propria quotidianità. Mentre alcuni ancora cavillano sull’interpretazione del DPCM e sulla possibilità di praticare sport all’aperto, mentre la locuzione “ai tempi del coronavirus” è diventata ormai un monotono tormentone degno di Striscia la Notizia, la maggior parte di noi sta provando a distrarsi da questa situazione con ciò che offre il proprio ambiente domestico, senza

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In questo periodo di reclusione domiciliare imposta dal Governo nel tentativo, speriamo quanto più efficace possibile, di arginare il contagio da Covid-19, ognuno di noi sta cercando di occupare il proprio tempo in attesa di poter tornare a qualcosa di quanto più simile possibile alla propria quotidianità. Mentre alcuni ancora cavillano sull’interpretazione del DPCM e sulla possibilità di praticare sport all’aperto, mentre la locuzione “ai tempi del coronavirus” è diventata ormai un monotono tormentone degno di Striscia la Notizia, la maggior parte di noi sta provando a distrarsi da questa situazione con ciò che offre il proprio ambiente domestico, senza dimenticarsi di essere un mountain biker.

I video di riding restano una delle soluzioni migliori per svagarsi e sognare, immedesimandosi nel biker protagonista del video per rivivere le sensazioni di cui eravamo abituati a godere fino a poche settimane or sono. Ma dato che il riding al momento è vietato o quanto meno sconsigliato nella maggior parte del mondo, anche i nuovi video cominciano a scarseggiare, se non quelli filmati prima del lockdown. Quale migliore occasione quindi per rispolverare alcuni dei video che hanno segnato la storia della mountain bike come vere e proprie pietre miliari dell’evoluzione del nostro sport? I rider che hanno approcciato più di recente la MTB potranno scoprire qualcosa di interessante sulle radici di questa disciplina mentre chi ha vissuto quei periodi potrà riviverli vedendo gli atleti, le bici e le location, sicuramente con un pizzico di nostalgia e con la consapevolezza di quanto si sia evoluta la MTB sotto ogni aspetto.

Dall’infinita lista di video che sono stati pubblicati nel corso degli anni ne ho selezionati tre che appartengono a quei prodotti che, più che video, possiamo definire veri e propri lungometraggi di MTB, distribuiti prima su VHS e in seguito su DVD. La loro pubblicazione rappresentava un evento poiché raccoglievano l’intera stagione di gare o di riding, prima dell’avvento dei video “usa e getta”, brevi ma immediati, che iniziarono a diffondersi da lì a poco, cavalcando la crescente diffusione del web.

Numerosi i top rider protagonisti, nelle gare di DH o in diversi spot di freeride, accompagnati da colonne sonore che in quegli anni hanno dominato le nostre playlist preferite. I video selezionati fanno parte di tre delle serie più affermate, differenti tra loro per stile e contenuti. Ho scelto pubblicazioni tra il 2006 e il 2007 per restare su di una qualità video tutto sommato accettabile.

Iniziamo da Earthed 5 – The Law of Fives, quinto e ultimo episodio della serie di video di DH per eccellenza, Earthed, interamente realizzata “low budget” dall’inglese Alex Rankin per Dirt Magazine. Uno spaccato dell’ambiente race del 2007, intervallato come consuetudine da alcuni segmenti di dirt riding e di lifestyle in puro stile britannico.

Proseguiamo con Roam, seconda pubblicazione del team The Collective che ha portato il filming di quegli anni a un livello superiore sia per le attrezzature utilizzate che per la fotografia e l’attenzione ai dettagli, con quella visione della MTB un po’ epica e un po’ romantica, tipica dei canadesi. Un video che definire di freeride è probabilmente riduttivo. Uscito nel 2006, è stato girato in due anni di riprese e, ai tempi, ha lasciato tutti a bocca aperta diventando un riferimento nel genere.

Concludiamo con New World Disorder 7 – Flying High Again, settimo dei dieci capitoli che compongono la saga consacrata al freeride, realizzata con budget stratosferici nell’ambito di un video di MTB e con uno stile volutamente tamarro e spaccone, marchio di fabbrica della casa di produzione Freeride Entertainment che, seppure canadese, strizza l’occhio al tipico mood a stelle e strisce.

Godetevi questi video e commentate cosa più vi ha colpito di questo tuffo nel passato, che ricordi vi ha fatto riaffiorare e quali altri video ritenete indimenticabili.

 

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[Amarcord] Le bici da enduro di 10 anni fa https://www.mtb-mag.com/amarcord-le-bici-da-enduro-di-10-anni-fa/ https://www.mtb-mag.com/amarcord-le-bici-da-enduro-di-10-anni-fa/#respond Wed, 27 Nov 2019 07:38:36 +0000 https://www.mtb-mag.com/?p=225308

Mentre i produttori di bici in questo periodo stanno rifornendo i negozi con le novità 2020 farcite di tutte le ultime tecnologie e tendenze, diamo uno sguardo a cosa succedeva “soltanto” 10 anni or sono nel mondo dell’enduro. Tra il 2009 e il 2010, il circuito Superenduro era in piena espansione e la scena italiana di MTB godeva di un grande entusiasmo che, dopo aver coinvolto il resto d’Europa, ha iniziato a destare interesse anche oltreoceano per questa nuova disciplina o, per meglio dire, questo nuovo genere di competizioni che riscuteva tanto successo in Europa. In quegli anni si iniziavano

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Mentre i produttori di bici in questo periodo stanno rifornendo i negozi con le novità 2020 farcite di tutte le ultime tecnologie e tendenze, diamo uno sguardo a cosa succedeva “soltanto” 10 anni or sono nel mondo dell’enduro. Tra il 2009 e il 2010, il circuito Superenduro era in piena espansione e la scena italiana di MTB godeva di un grande entusiasmo che, dopo aver coinvolto il resto d’Europa, ha iniziato a destare interesse anche oltreoceano per questa nuova disciplina o, per meglio dire, questo nuovo genere di competizioni che riscuteva tanto successo in Europa.

In quegli anni si iniziavano a vedere bici più specifiche rispetto alle all mountain adattate con cui si correva fino a poco prima, iniziando a delinearsi la nuova destinazione d’uso, anche se spesso risultava ancora indispensabile modificarle rispetto al modello di serie per renderle adatte alle competizioni. Si aggiungevano i primi reggisella telescopici, le cui guaine del comando remoto (rigorosamente esterne) venivano fissate al telaio con le fascette o con fermacavi adesivi dato che i telai non avevano alcuna predisposizione. Alcuni eliminavano il deragliatore anteriore e la doppia o tripla corona per montare una corona singola con guidacatena da DH, anni prima dell’avvento delle vere trasmissioni 1x con corone anticaduta, quindi con rapporti che non andavano oltre il 30t x 11-36t. Le ruote, ovviamente, erano solo e semplicemente da 26 pollici e il carbonio era ancora piuttosto raro. Andiamo a rivedere le principali bici che affollavano le gare di Superenduro di quegli anni.

Commençal Meta 6

Quale bici più adatta a rappresentare questo articolo? La Meta 6 è stata tra le principali protagoniste degli albori dell’enduro e un incredibile numero di atleti ha gareggiato su di questa Commençal nata per le Mega Avalanche ma subito diventata una delle dominatrici dell’enduro.

Transition Covert

La Covert ha decretato la popolarità di Transition in Italia anche, o forse soprattutto, grazie ai successi di Andrea Bruno, atleta e distributore per l’Italia del marchio, che l’ha portata numerose volte sul gradino più alto del podio.

Specialized Enduro

La Enduro di Specialized faceva uso di questo nome da prima che la disciplina stessa prendesse forma, vedendo diverse evoluzioni che l’hanno portata, da semplice all mountain, a diventare sempre più aggressiva. A fine 2oo9 Specialized ha presentato la versione 2010, la prima con il design X-Wing del telaio. Sono stati in molti a montare un numero di gara sul manubrio di questa bici.

Ibis Mojo HD

Ibis, dopo aver messo in sella dozzine di rider ed essersi conquistata un’incredibile fetta di notorietà in Italia grazie alla Mojo Carbon, una vera pioniera dell’enduro con 140mm di escursione su entrambe le ruote che veniva utilizzata in gara sostituendo la forcella con una da 160mm, a fine 2009 ha presentato la prima versione della Mojo nata per le competizioni di enduro, la Mojo HD.

Lapierre Spicy

Una delle prime versioni della storica bici da enduro sviluppata da Nicolas Vouilloz, leggenda del mondo della DH e successivamente destinato a diventare un assoluto riferimento anche nel mondo dell’enduro, la Lapierre Spicy è stata tra le pioniere di questa disciplina.

Mondraker Dune

Le bici Mondraker venivano sviluppate in collaborazione con Fabien Barel (ai tempi ancora atleta di DH ma già interessato all’enduro) con nuove tecnologie all’avanguardia tra le quali il Forward Geometry che negli anni a seguire ha condizionato l’intero sviluppo della MTB. Grazie alle soluzioni innovative unite a prezzi concorrenziali, Mondraker con la Dune ha meritatamente intercettato l’interesse di tanti amatori dell’enduro.

Santa Cruz Nomad

Che fosse il neonato modello in carbonio piuttosto che quello in alluminio, la Nomad di Santa Cruz ha sempre fatto breccia nel cuore degli enduristi italiani e, nonostante il prezzo superiore alla media, non erano poche quelle che si vedevano passare dai controlli orari.

Trek Scratch

Prima di dare alla luce la Slash, la prima bici specifica da enduro di Trek, per qualche stagione c’è stata la Scratch ad occuparsi di tutto quello che stava tra la Remedy da AM e la Session da DH. Con questo modello il brand del Wisconsin ha anticipato le attuali endurone aggressive con il suo carattere da bike park unito al peso relativamente contenuto, in linea con le altre enduro dell’epoca e quindi adatto a renderla pedalabile.

Cannondale Moto

Anche Cannondale aveva anticipato i tempi con la Moto, una bici a lunga escursione ma particolarmente leggera, che voleva essere una bici da freeride pedalabile ma che a conti fatti era un mezzo perfetto per l’enduro. Il progetto venne abbandonato con la nascita della Jekyll, sviluppata appositamente per l’enduro ma decisamente meno aggressiva nella sua prima versione.

Oltre a queste pioniere dell’enduro, i campi di gara italiani hanno visto numerose altre bici solcare le prove speciali di 10 anni fa. Chi di voi ha corso qualche gara in quegli anni e con che bici?

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[Amarcord] Rocky Mountain Instinct, anno 2000 https://www.mtb-mag.com/amarcord-rocky-mountain-instinct-anno-2000/ https://www.mtb-mag.com/amarcord-rocky-mountain-instinct-anno-2000/#respond Sat, 13 Oct 2018 13:55:51 +0000 https://www.mtb-mag.com/?p=193717/

Mettendo in ordine il garage oggi mi sono imbattuto in una reliquia di altri tempi. L’ho portata in giardino e l’ho subito fotografata con il cellofono, prima che sparisse di nuovo per altri vent’anni, quindi scusatemi se la qualità delle foto non è la solita. Correva l’anno 2000 e volevo a tutti i costi farmi una full. Una di quelle bici esotiche, con ben due sospensioni: forcella e ammortizzatore posteriore. Non ricordo più il motivo per cui acquistai questa Rocky Mountain Instinct, so solo che ci feci una traversata delle Alpi dalla Germania al lago di Garda, fra le altre cose.

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Mettendo in ordine il garage oggi mi sono imbattuto in una reliquia di altri tempi. L’ho portata in giardino e l’ho subito fotografata con il cellofono, prima che sparisse di nuovo per altri vent’anni, quindi scusatemi se la qualità delle foto non è la solita.

Correva l’anno 2000 e volevo a tutti i costi farmi una full. Una di quelle bici esotiche, con ben due sospensioni: forcella e ammortizzatore posteriore. Non ricordo più il motivo per cui acquistai questa Rocky Mountain Instinct, so solo che ci feci una traversata delle Alpi dalla Germania al lago di Garda, fra le altre cose. Come forcella montava una Rock Shox Sid, di quelle con le pareti simil-lattina di Coca Cola, infatti morì pisciando olio dopo un impatto con una roccia che la aprì, e come il Titanic affondò.

Mi piaceva la verniciatura con le foglie d’acero, per di più metallizzata. Ai tempi non feci molto caso all’adesivo con la firma del saldatore, adesso varrebbe oro. Rocky Mountain ha portato la produzione da Vancouver all’Oriente tanti anni fa, nel 2007 visitai la loro sede canadese e, a parte qualche prototipo, il resto era un magazzino con scatoloni provenienti da Taiwan.

Forse è questo il motivo per cui conservo ancora il telaio in garage, unico cimelio di quell’era.
Mi vien da ridere a vedere il manubrio, largo ben 68cm!

Per non parlare della tripla..

O di quell’ammortizzatore piuttosto strambo.

Un tocco italiano erano i freni Formula Extreme (si chiamavano veramente così?). Di loro mi ricordo il rumore.

Il passaggio interno dei cavi manco esisteva, l’importante era tenere le guaine il più corte possibili per risparmiare peso.

Mi piaceva il reggisella con un’unica vite, perché era semplicissimo regolare l’inclinazione della sella. E teneva pure, se non mi sbaglio. La sella Flite era un vero e proprio strumento di tortura.

Telaio per V-Brake e freni a disco. Anche se poi non c’era il passaggio per il tubo del freno.

Siamo veramente sicuri che le saldature di un canadese siano migliori di quelle di un cinese? Notare la scatola sterzo non conica.

Però, ripeto, quelle foglie d’acero erano troppo belle, e costose. L’acquisto di questa bici lasciò un bel buco nel mio conto corrente, di questo sono certo.

Avete qualche cimelio in garage?

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[Amarcord] Storia delle forcelle a steli rovesciati https://www.mtb-mag.com/amarcord-storia-delle-forcelle-a-steli-rovesciati/ https://www.mtb-mag.com/amarcord-storia-delle-forcelle-a-steli-rovesciati/#respond Thu, 08 Mar 2018 06:00:08 +0000 https://www.mtb-mag.com/?p=178985/

Le forcelle upside down o, in italiano, a steli rovesciati, hanno sempre riscosso un certo fascino nel mondo della mountain bike, così come nel campo motociclistico dal quale derivano. Se però in ambito moto il sistema a steli rovesciati rappresenta la soluzione più performante, nel settore MTB non è mai stato semplice bilanciare tutti i fattori per ottenere una netta superiorità prestazionale rispetto alle forcelle tradizionali. Qui, dove per ovvi motivi rispetto al mondo moto si è costretti a fare i conti con la bilancia, le upside down risultano purtroppo pesanti nonostante l’utilizzo di materiali più leggeri e sottodimensionati in confronto

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Le forcelle upside down o, in italiano, a steli rovesciati, hanno sempre riscosso un certo fascino nel mondo della mountain bike, così come nel campo motociclistico dal quale derivano. Se però in ambito moto il sistema a steli rovesciati rappresenta la soluzione più performante, nel settore MTB non è mai stato semplice bilanciare tutti i fattori per ottenere una netta superiorità prestazionale rispetto alle forcelle tradizionali. Qui, dove per ovvi motivi rispetto al mondo moto si è costretti a fare i conti con la bilancia, le upside down risultano purtroppo pesanti nonostante l’utilizzo di materiali più leggeri e sottodimensionati in confronto alle forcelle moto, che per questo portano a una notevole mancanza di rigidezza riscontrabile sia in flessione che in torsione. Problemi che più o meno hanno afflitto tutte le forcelle a steli rovesciati della storia della MTB, relegando in secondo piano i pregi delle upside down quali la maggiore scorrevolezza e il minor peso delle masse non sospese che concettualmente rende più efficace il lavoro delle sospensioni. Non ultimi il maggiore spazio per gestire l’idraulica e la semplicità costruttiva che hanno dato spunto non solo alle grandi aziende ma anche a numerosi artigiani per sbizzarrirsi in diversi prodotti interessanti, alcuni più longevi, altri spariti in breve tempo ed altri semisconosciuti. Tutte forcelle che hanno collaborato a scrivere la storia della MTB. Scopriamole insieme…

A conferma della derivazione motociclistica del sistema upside down, i primi esemplari di forcelle a steli rovesciati in ambito MTB furono introdotti da Robert Reisinger di Mountain Cycle che realizzò l’intero progetto San Andreas ispirandosi al mondo moto. Mise in produzione, appositamente per questa iconica bici, la forcella Suspenders System, monopiastra da 2.5″ di escursione (circa 64mm), con cannotto da 1″ e perno QR da 12mm. Il funzionamento era affidato interamente ad elastomeri di diversa durezza, posizionati in serie, che potevano essere cambiati per “settare” la forcella secondo i propri gusti. Era il 1991!

Nel 1995 Brent Foes mise in produzione la forcella Foes F1, doppia piastra di chiara ispirazione motociclistica, con piastre e foderi massicci che offrivano ben 5 pollici di escursione (127mm) e controllo idraulico. Negli anni a seguire mise a punto il progetto arrivando alla versione XTD della F1, dotata di idraulica sempre più raffinata e di 8.5″ di escursione (216mm).

In quegli anni Cannondale vantava la reputazione di brand assolutamente innovativo. Non si smentì nel 1996 quando mise in produzione la forcella Head Shock MOTO, disponibile in 2 versioni, da 80 o da 120mm di corsa. Possiamo definirla l’antenata della celebre Lefty, odierna upside down di Cannondale.

Dal 1997 al 1999 Oliver Bossard realizzò per Sunn le forcelle Obsys DH che aiutarono il team più forte dell’epoca a coprirsi di titoli iridati e di vittorie in coppa. Un’idraulica sopraffina che Bossard, già esperto preparatore di sospensioni in ambito motociclistico, sviluppò durante gli anni con Sunn e affinò in seguito quando iniziò a produrre in proprio le sospensioni BOS, prima per il progetto V-Process di Nicolas Vouilloz e poi per il pubblico.

Era il 1998 quando RST realizzò una upside down a lunga escursione (150mm di corsa) chiamata, non a caso, Mozo XXL. Negli anni successivi raggiunse l’escursione di 187mm con il modello Sigma, proseguendo con altri modelli upside down fino alla più attuale Rebel, monopiastra presentata la scorsa stagione e disponibile sia in versione 27.5 che 29 con escursioni che variano da 80 a 140mm.

Probabilmente uno degli esempi più fulgidi di soluzioni derivate dal settore motociclistico è rappresentato da Avalanche con i suoi primi modelli MTN-8 (203mm) e MTN-10 (254mm) del 1998 ma ancora di più con la successiva DHF da 8.5″ di escursione (216mm). Piastre massicce, foderi imponenti, escursioni esagerate e un’idraulica che venne considerata un riferimento per diverso tempo.

Nel 1999 anche RockShox fece una breve digressione dallo sviluppo della BoXXer, ormai affermata e iconica forcella da DH del brand statunitense, per lavorare su di un prototipo chiamato Rocky, che non ebbe mai seguito in ambito race e tantomeno in commercio. RockShox identificò presto i limiti di una forcella upside down a lunga escursione e chiuse il progetto, senza tuttavia dimenticare interamente l’esperienza raccolta che venne messa a frutto a distanza di anni con la produzione della RS-1, la forcella da XC upside down con fodero e cannotto in fibra di carbonio presentata nel 2015 e tuttora in produzione.

Era sempre il 1999 quando White Brothers, un marchio arrivato dal motocross, raggiunse il settore MTB con la UD150, una forcella da 150mm di escursione dall’idraulica interessante che divenne poi la White Brothers DH con 180mm di escursione prima e con 200mm successivamente. Pochi anni fa il marchio è stato assorbito da MRP per coadiuvare la produzione delle loro sospensioni.

Nel 2000 Marzocchi lasciò tutti a bocca aperta presentando la RAC, una forcella upside down monopiastra con foderi in fibra di carbonio e 80mm di escursione, un design unico e ricco di stile e dalle finiture di alto livello che la resero una delle pietre miliari della storia del marchio di Zola Predosa… e della storia della MTB.

Nello stesso anno Marzocchi prese uno dei suoi bestseller in ambito MX, la Shiver, e la coniugò in ambito MTB, realizzando una forcella solida, aggressiva ed esteticamente accattivante, nel pieno stile del marchio. La Marzocchi Shiver, complice il successo della “sorella” Monster T, rese le forcelle a steli rovesciati molto popolari (nella più ampia accezione del termine) nel mondo delle mountain bike, prima con la versione a doppia piastra Shiver DC, da 190mm di escursione e quasi 4kg di peso, alla quale si aggiunse nel 2002 una versione SC, monopiastra da 120mm di escursione.

Sempre nel 2000, annata decisamente prolifica per la MTB, Risse Racing realizzò la Trixxxy, forcella upside down ancora in produzione e disponibile già allora nelle diverse escursioni di 4, 5 e 6 pollici, con la possibilità di upgrade a 7″. Successivamente mise in produzione anche una versione con opzioni di escursione maggiore, la The Champ, ma la forcella che rese famoso il marchio, grazie a Josh Bender che l’ha utilizzata per lungo tempo, fu la Bigfoot con ben 12 pollici (305mm!) di escursione.

Nel 2001 anche Stratos realizzò una upside down da DH da 203mm di escursione, la S8, che si fa ricordare per l’aspetto possente, per le prestazioni ottime e per la scarsa affidabilità.

Nello stesso anno anche i tedeschi di Magura salgono sul treno delle upside down, mettendo in produzione la Mid Ego da 170mm di escursione e la Big Ego che invece di escursione aveva 185mm. Recentemente Magura, in collaborazione con WP, brand molto famoso e stimato nel settore delle sospensioni motociclistiche, ha presentato la Boltron, una forcella monopiastra a steli rovesciati da 120, 150 e 160mm di escursione, destinata al mercato del primo montaggio sulle eBike.

La taiwanese DNM arrivò nello stesso anno, il 2001, con la USD180, dove 180 indica ovviamente l’escursione a disposizione della forcella, alla quale affiancò la monopiastra USD120. Successivamente introdusse la USD8, con 203mm di escursione, che è tuttora in commercio, accompagnata dalla monopiastra USD6, con 152mm di escursione.

Il 2002 vide l’ingresso di Manitou nel mondo delle upside down con quella che è da ritenersi una delle forcelle più rappresentative di questo sistema, se non la più rappresentativa in assoluto: la Dorado. 180mm di escursione nella versione doppia piastra e 127mm in versione monopiastra, la Dorado SC, venne dotata inizialmente di steli da 30mm che divennero successivamente da 32 e infine da 36, per un modello che è tuttora in produzione con escursione di 203mm e che, a fronte della già citata mancanza di rigidezza tipica delle forcelle a steli rovesciati, offre un’idraulica raffinata ed efficace.

Un artigiano italiano, Patrizio Bergamelli, si fece conoscere e valere grazie a una serie di prodotti dal funzionamento interamente pneumatico, tra i quali alcune forcelle upside down come la Alice DC, doppia piastra da 190mm di escursione nata nel 2002 e la Alice SC, monopiastra da 150mm, per arrivare alla Sumo, una rara belva da 300mm di corsa.

Una breve ma interessante parentesi nel settore MTB fu intrapresa dal colosso giapponese Showa che nel 2004 sviluppò una forcella upside down appositamente ed esclusivamente per il progetto Honda RN01 G-Cross, la spettacolare bici da DH con la quale il binomio nipponico portò nel mondo della mountain bike una ventata di novità e di raffinata tecnologia. L’intento di Honda e di Showa fu quello di accrescere il loro know how nel mondo motociclistico, testandolo in settori paralleli come appunto la DH.

Sempre dal Giappone ma con un profilo decisamente più moderato, Kowa presentò a Eurobike 2011 la sua 200GF, forcella doppia piastra a stelli rovesciati da 200mm di escursione.

X-Fusion, già forte di un progetto di upside down da DH sviluppato in passato e realizzato in tiratura limitatissima, nel 2013 presentò la Rebel, monopiastra da Trail ed Enduro con escursione che varia da 120 a 160mm in base alla versione da 27.5 o da 29 pollici.

La storia delle forcelle a steli rovesciati prosegue anche in DH con il marchio emergente DVO, nato da alcuni “secessionisti” di Marzocchi che nel 2014 hanno dato alla luce la Emerald DH, forcella da 203mm di escursione con la caratteristica di creare un’archetto di unione tramite i parasteli, con l’intento di aumentare la rigidezza torsionale.

Nel 2015 il colosso svedese Öhlins, leader indiscusso delle sospensioni in ambito motociclistico, realizzò un prototipo di forcella upside down da DH che venne successivamente abbandonato in favore del prototipo con sistema tradizionale attualmente in uso sulla bici di Loic Bruni dello Specialized Gravity Team.

Numerosi brand si sono cimentati nella produzione di forcelle a steli rovesciati. Non solo marchi di sospensioni di MTB, tra cui anche FOX con un prototipo, ma soprattutto aziende del settore moto che hanno provato a realizzare un prodotto dedicato alle MTB, oppure artigiani che hanno sfruttato la semplicità dell’hardware di una upside down per realizzare un proprio progetto. Nella storia delle forcelle a steli rovesciati possiamo annoverare molti altri progetti tra cui quelli di Pace, Penske, Maverick, diversi modelli da parte del marchio Ballistic oppure Mupo, Brunn, Peak, Votec, Bionicon, Bombshell, Eberminator, CSO, Hanebrink e altri ancora. Senza dubbio il sistema upside down affascina e intriga per diversi aspetti, sia tecnologici che estetici, quindi seppure non sia ancora nata la forcella upside down in grado di oscurare le prestazioni di una buona forcella con struttura tradizionale, certamente la loro storia non è da considerarsi conclusa e vedremo altre proposte in futuro.

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[Amarcord] I marchi meteora nella storia della MTB https://www.mtb-mag.com/amarcord-i-marchi-meteora-nella-storia-della-mtb/ https://www.mtb-mag.com/amarcord-i-marchi-meteora-nella-storia-della-mtb/#respond Thu, 22 Feb 2018 22:01:29 +0000 https://www.mtb-mag.com/?p=178296/

Autore:  Francesco Mazza Nel corso degli anni ci sono stati numerosi marchi che si sono affermati come colonne della storia della MTB. Una serie di connotazioni quali performance, risultati agonistici, ricercatezza estetica, soluzioni tecniche o marketing aggressivo hanno contribuito a consolidare molti brand come riferimenti del mondo della mountain bike. Nel corso degli anni però, tra queste realtà affermate, hanno fatto la comparsa diversi marchi che, per motivi diversi tra loro, hanno brillato solo per un periodo più e meno breve, sparendo poi dalla circolazione, alcuni totalmente e altri quasi. Marchi che possiamo definire meteore della storia della MTB dato che

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Autore:  Francesco Mazza

Nel corso degli anni ci sono stati numerosi marchi che si sono affermati come colonne della storia della MTB. Una serie di connotazioni quali performance, risultati agonistici, ricercatezza estetica, soluzioni tecniche o marketing aggressivo hanno contribuito a consolidare molti brand come riferimenti del mondo della mountain bike. Nel corso degli anni però, tra queste realtà affermate, hanno fatto la comparsa diversi marchi che, per motivi diversi tra loro, hanno brillato solo per un periodo più e meno breve, sparendo poi dalla circolazione, alcuni totalmente e altri quasi. Marchi che possiamo definire meteore della storia della MTB dato che hanno sfavillato intensamente per poi svanire, proprio come una meteora nel cielo.

Alcuni brand hanno fatto riecheggiare il loro nome agli albori della storia della mountain bike grazie alle prestigiose vittorie nelle prime edizioni del Campionato del Mondo. Dalla Miyata Koga di Greg Herbold che vinse la prima edizione dei Worlds a Durango nel 1990, passando per la Cilo con la quale Albert Iten divenne iridato al Ciocco nel 1991, per arrivare alla Balance di Mike King dei mondiali di Métabief del ’93. Tutti brand che sparirono dal settore MTB, pur avendo esordito con prestazioni folgoranti.

In quegli anni ci fu anche un altro marchio a brillare per innovazione e stile, introducendo soluzioni tecniche che vennero apprezzate e riconosciute in tutto il mondo. Parliamo di Mountain Cycle che, soprattutto con la San Andreas a cui abbiamo dedicato un articolo, è divenuta una pietra miliare della storia della MTB. Non furono i risultati agonistici ma la ventata di novità e di tecnologia che portarono Mountain Cycle a eccellere, fino a guadagnarsi un posto al MoMa di San Francisco. Il brand californiano proseguì con altri prodotti stilisticamente simili al San Andreas come per esempio la Shockwave o la Tremor… ma tanto fu all’avanguardia inizialmente, tanto restò ferma sulle medesime soluzioni nel corso del suo decennio circa di attività, perdendo infine di attualità e di carisma nei confronti di un mercato in veloce evoluzione, finendo per chiudere i battenti.

Nel contempo, un marchio francese legò a doppio filo il suo nome a quello delle competizioni di DH, dominando la scena per 5 anni. Fondata nel 1994 da Max Commençal, fondatore in seguito dell’omonimo brand, Sunn conquistò numerosi titoli iridati e gare di World Cup grazie ad atleti del calibro di Nicolas Vouilloz, Caroline Chausson, Fabien Barel e Cedric Gracia. Un team di riferimento con un entourage imponente. La Radical, la bici del team, era un sogno per molti appassionati: soluzioni tecniche particolari e sospensioni realizzate all’interno della stessa Sunn da Olivier Bossard (padre di BOS Suspension). Un progetto imponente e costoso che infine crollò sotto al peso dei debiti, finendo in bancarotta. Il marchio venne poi acquistato da terzi a distanza di anni per rilanciare un restyling della Radical, ma anche questo progetto ebbe vita breve. Recentemente il marchio è stato nuovamente acquistato da altri imprenditori ma le bici in gamma sono nettamente distanti dai gioielli pluri-iridati della fine del secondo millennio.

Nicolas Vouilloz, all’apice della sua carriera di downhiller e con all’attivo 5 titoli iridati da Elite più altri 2 da Junior, era in cerca di una bici che soddisfacesse le sue esigenze tanto quanto fece la Sunn Radical. Decise di costruirsela, dando vita al marchio V-Process insieme ad alcuni ingegneri rilevati da Sunn, tra cui Bossard che nel frattempo aveva fondato il suo marchio di sospensioni. La V-Process NV (iniziali di Nico) destò da subito enorme interesse nel mondo race e il suo fondatore le donò i colori iridati per 2 stagioni consecutive primi di ritirarsi dalla DH, chiudendo il marchio, per dedicarsi ai rally automobilistici come pilota professionista.

Pochi anni dopo iniziò la sua ascesa il marchio statunitense Iron Horse, grazie al fortunato connubio con un giovane ingegnere di nome Dave Weagle con il suo sistema di sospensione DW-Link. In precedenza Iron Horse usava rimarchiare telai prodotti da altri telaisti come Verlicchi (Sintesi) in principio, con il cui telaio vinse i Worlds del ’92 a Bromont, e Intense in seguito. Ma fu con la Sunday, la bici da DH dotata di DW-Link, che Iron Horse iniziò a brillare ottenendo fama e prestigio, grazie soprattutto ai risultati strepitosi di Sam Hill e di Sabrina Jonnier che, ciascuno nella propria categoria, dominarono senza rivali la DH mondiale per le stagioni a seguire fino alla fine del 2008, quando Iron Horse chiuse i battenti per fallimento. Poche stagioni ma assolutamente intense e memorabili.

Circa nello stesso periodo, il cielo venne squarciato dal bagliore di una meteora di dimensioni enormi, quando un colosso come Honda entrò nel mondo della MTB, mettendo tutto il suo know-how del settore motociclistico nella DH. La storia del marchio nipponico con  la sua RN01 G-Cross, alla quale abbiamo dedicato un articolo, fu breve ma assolutamente intensa. Quattro stagioni di gare, dal 2004 al 2007, con atleti di assoluto spessore come Greg Minnaar, Matti Lehikoinen e Brendan Fairclough. Diversi risultati importanti tra cui una overall di World Cup di Minnaar nel 2005 e diversi podii tra World Cup e mondiali. Honda entrò nella DH senza alcun intento commerciale e senza la benché minima intenzione di produrre la RN01 per la vendita, anche perché avrebbe avuto costi assolutamente proibitivi. Il preciso scopo di Honda, in pieno stile HRC, fu di sviluppare e immagazzinare conoscenze tecniche che potessero fruttare in ambito motociclistico. La DH fu adottata come un campo di prova per migliorare le capacità di gestire le geometrie, la ciclistica, le sospensioni e altri dettagli chiave in un ambito nel quale queste caratteristiche risultano più sensibili e determinanti di quanto non siano in MX. Finito il periodo di test e raccolte sufficienti informazioni, il team Honda chiuse i battenti smantellando le RN01. Se i giapponesi di Honda seppero raccogliere molto dalla DH, altrettanto, forse involontariamente, donarono: il loro approccio ultraprofessionale e l’assoluta e maniacale attenzione ai dettagli …oltre a un mezzo ipertecnologico che fece innamorare centinaia di migliaia di appassionati di DH in tutto il mondo e che ancora oggi, a distanza di oltre 10 anni, esprime tutto il suo fascino.

Ma oltre ai numerosi marchi di bici, c’è anche un altro settore della MTB che ha visto brillare diverse meteore: quello delle sospensioni. Probabilmente in questo segmento di componentistica per MTB più che in qualsiasi altro, soprattutto per quanto concerne gli ammortizzatori ancora più che per le forcelle, si susseguirono numerosi marchi che si ritagliarono una finestra temporale di successo prima di sparire nell’oblio del dimenticatoio. Marchi che si proposero come la panacea di tutti i problemi delle sospensioni e che conquistarono facilmente il favore del pubblico in un periodo in cui le sospensioni, per quanto iniziassero a raffinarsi, erano ancora parecchio distanti dalle performance attuali.

Di fronte al dominio incontrastato di FOX, i vari marchi come Romic o Avalanche offrivano ammortizzatori con tecnologia Twin Tube mentre altri marchi come per esempio Elka e Progressive Suspension davano la possibilità ai rider di controllare ben 4 o addirittura 5 regolazioni contro le tradizionali e un po’ limitanti 2 regolazioni del FOX, dall’idraulica affidabile ma semplice. Questo aspetto a inizio millennio fece molta leva sia sul pubblico agonista che sugli amatori. In particolare Progressive Suspension con il suo Fifth Element, nato nel 2003, divenne molto popolare, conquistando anche una discreta fetta di mercato dei primi montaggi. Presto si capì tuttavia che non c’era sufficiente cultura da parte del grande pubblico per poter apprezzare o anche solo per comprendere come regolare tutti quei registri. Inoltre il servizio assistenza di alcuni marchi si rivelò inefficace. Nel frattempo FOX fece tesoro della lezione introducendo nuovi ammortizzatori più evoluti e dotati di più regolazioni e facendo di fatto dimenticare la maggior parte di questi brand di ammortizzatori.

Questi sono solo una manciata di esempi, forse tra i più fulgidi, dei marchi che hanno brillato intensamente per un breve periodo di tempo nella storia della MTB, ma ce ne sarebbero molti altri da citare e dei quali raccontare la storia. Se vi vengono in mente altre meteore della storia della MTB, riportatele nei commenti e condividete i vostri ricordi.

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[Amarcord] Mr. Santa Cruz: Rob Roskopp https://www.mtb-mag.com/amarcord-mr-santa-cruz-rob-roskopp/ https://www.mtb-mag.com/amarcord-mr-santa-cruz-rob-roskopp/#respond Wed, 07 Feb 2018 06:00:47 +0000 https://www.mtb-mag.com/?p=177381/

Autore:  Francesco Mazza In questo appuntamento con la rubrica Amarcord approfondiamo la conoscenza di un personaggio che dai primi anni ’80 ha legato il suo nome a quello del brand californiano Santa Cruz, dallo skateboard alla mountain bike, creando un punto di riferimento nel settore: parliamo di Rob Roskopp. Rob si trasferì in California nel 1982, a 19 anni, partendo in autobus dall’Ohio con soli 800 dollari in tasca, con l’intenzione di frequentare l’università. In California però si dedicò con maggiore passione allo skateboard che allo studio, a tal punto da diventare nel giro di un anno uno skater professionista

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Autore:  Francesco Mazza

In questo appuntamento con la rubrica Amarcord approfondiamo la conoscenza di un personaggio che dai primi anni ’80 ha legato il suo nome a quello del brand californiano Santa Cruz, dallo skateboard alla mountain bike, creando un punto di riferimento nel settore: parliamo di Rob Roskopp.

Rob si trasferì in California nel 1982, a 19 anni, partendo in autobus dall’Ohio con soli 800 dollari in tasca, con l’intenzione di frequentare l’università. In California però si dedicò con maggiore passione allo skateboard che allo studio, a tal punto da diventare nel giro di un anno uno skater professionista per il marchio Independent Trucks.

Durante la sua partnership con il marchio Independent strinse amicizia con Richard Novak, il presidente della NHS Incorporation, l’azienda che comprendeva Independent Trucks, Santa Cruz Skateboards e altri marchi leader del panorama skateboard. Il suo talento, spinto da Novak che ne fece un pro rider Santa Cruz, gli valse l’ingresso nell’olimpo degli skater.

Roskopp divenne uno degli skater di punta di Santa Cruz, che realizzò per lui una lunga serie di pro model, ovvero di tavole con grafica dedicata, disegnate dal genio di Jim Phillips. Dalle diverse versioni della serie Face (nella foto di seguito) a quelle della serie Target passando per i modelli Eye e tanti altri… le tavole di Roskopp sono ancora oggi oggetti di culto per i collezionisti di skate vintage, così come ne vengono tuttora commercializzate le riedizioni.

Roskopp si è sempre distinto per uno stile fluido e ben impostato, molto tecnico e preciso, con un ampio bagaglio di trick stilosi. Cavalcò le scene dello skateboarding mondiale ai massimi livelli per 8 anni, finché nel 1990 decise di interrompere la sua carriera di skater professionista per tornare a studiare.

Frequentò gli studi di business alla San José University in orario serale mentre di giorno faceva “praticantato” dall’amico Rich Novak in Santa Cruz. Rob ha dichiarato più volte di aver imparato molto più dall’esperienza di Novak sul mondo degli affari e dell’economia di quanto non abbia mai imparato a scuola, ritenendolo il suo unico mentore. Nel mentre, tra studio e lavoro, Rob ritrovò la sua vecchia passione per le due ruote che era rimasta accantonata durante la carriera di skateboarder. Coinvolse anche Novak che presto condivise con Roskopp la passione per la MTB. Avendo notato le capacità imprenditoriali del suo pupillo, Novak chiese a Roskopp se se la sentisse di dirigere un ipotetico settore mountain bike del marchio Santa Cruz. Era il 1993: insieme fondarono Santa Cruz Bicycles e Roskopp ne divenne il presidente.

Roskopp abbandonò (nuovamente) gli studi e si dedicò interamente al nuovo progetto. Reclutò due personaggi di grande fama che gravitavano tra il mondo dello skate e quello del motocross: l’ingegnere Mike Marquez, particolarmente esperto di sistemi di sospensione, e il designer Tom Morris. L’idea era quella di realizzare delle bici divertenti e innovative, che puntassero a soddisfare il biker a ogni uscita e non solo in gara. Erano gli albori delle full suspended e Roskopp aveva intenzione di sviluppare proprio quel segmento, all’epoca all’avanguardia.

Nel 1994 iniziò ufficialmente la storia di Santa Cruz Bicycles con la nascita della loro prima MTB, la Tazmon. Una full suspended con sospensione da 3 pollici di escursione (circa 76mm). Il cinematismo era un semplice single pivot diretto per il quale venne posta una particolare attenzione al punto di infulcro per garantire la migliore resa possibile durante la pedalata; un dettaglio che ora può sembrare scontato ma nel 1994 non lo era affatto. La sospensione era gestita da un ammortizzatore Risse Genesis con funzionamento aria-olio che introduceva in ambito MTB la possibilità di regolare sia la compressione che il ritorno, mentre la maggior parte dei competitor faceva affidamento su sistemi a elastomero.

Nel 1995 Roskopp e il suo team idearono la Heckler, una bici a lunga escursione per quel periodo con 4 pollici di corsa (circa 100mm), sempre azionati da un cinematismo single pivot diretto del tutto simile a quello della Tazmon. L’anno seguente ci fu la vera svolta per quanto concerne la quantità di escursione con l’introduzione della Super 8, una bici da DH con ben 8 pollici di corsa (178mm) sempre con sistema single pivot diretto. La Super 8 ottenne l’attenzione del mondo agonistico grazie a Bruno Zanchi che divenne atleta ufficiale Santa Cruz in Coppa del Mondo di DH finché nel 1999 la portò sul gradino più alto del podio ai Campionati Europei DH di La Molina, in Spagna. Nella foto di seguito la Super 8 di BR1 del 1999.

Roskopp intanto era alla ricerca di un sistema di sospensione più efficiente e moderno, capace di elevare le prestazioni delle sue bici. Dietro indicazione di Morris, venne a conoscenza di un sistema a infulcro virtuale denominato Virtual Pivot Point, realizzato da James Klassen e Jamie Calon per Outland Bikes che, economicamente parlando, non navigava in buone acque. Roskopp acquistò il brevetto e lo applicò sulle due bici che presentò tra il 2000 e il 2001 e che divennero le bandiere del nuovo e presto celebre VPP di Santa Cruz: la Blur XC, con 4 pollici di escursione, e il V10, la nuova arma da DH, con ben 10 pollici di escursione.

Il sistema single pivot intanto non venne abbandonato ma proseguì a essere utilizzato su diversi modelli fino agli anni più recenti, per esempio sulla Heckler che è uscita di produzione nel 2017, rappresentando la bici più longeva di Santa Cruz. Nel 2005 Roskopp iniziò a radunare alcuni atleti per formare un team di Coppa del Mondo di primo livello. Ingaggiò Steve Peat e Nathan Rennie, oltre a Jamie Goldman e John Waddell e fondò nel 2006 il Santa Cruz Syndicate. L’ex downhiller Kathy Sessler assunse il ruolo di team manager e agli atleti venne consegnata la seconda versione del V10, con linee decisamente più sinuose della prima versione e un appeal unico che, unito alla popolarità degli atleti del team e dei grandiosi risultati ottenuti sin dalla prima stagione, iniziarono a consacrare Santa Cruz come uno dei marchi di riferimento della MTB moderna.

Mentre al team si aggiungevano atleti come il vincente Greg Minnaar e un giovanissimo Josh Bryceland, portando il Syndicate ai vertici del ranking mondiale, Roskopp sembrava non sbagliare un colpo con le sue Santa Cruz, sia a livello di performance che a livello estetico, con linee eleganti e colori stravaganti ma sempre azzeccati, diventando una sorta di opinion leader del mondo della MTB. Nel 2015 l’ex skateboarder e re mida della mountain bike ha venduto il marchio Santa Cruz a una holding olandese di nome PON, già proprietaria di numerosi marchi tra cui Cervélo e Focus, restando alla guida della sua creatura come CEO.

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[Amarcord] Horst Leitner: il padre del giunto Horst https://www.mtb-mag.com/amarcord-horst-leitner-il-padre-del-giunto-horst/ https://www.mtb-mag.com/amarcord-horst-leitner-il-padre-del-giunto-horst/#respond Fri, 19 Jan 2018 07:29:35 +0000 https://www.mtb-mag.com/?p=176379/

Questa puntata della rubrica Amarcord è dedicata a un personaggio chiave della storia della MTB che ne ha segnato lo sviluppo sin dagli albori con il brevetto di un sistema di sospensione che porta il suo nome di battesimo: il giunto Horst. Un cinematismo che a conti fatti, se non è il più utilizzato in assoluto, è certamente tra quelli più adottati di sempre tra i vari brand di mountain bike. Horst Leitner è nato in un piccolo villaggio vicino a Salisburgo, in Austria, nel 1942. Già in giovane età cominciò a diventare popolare nella sua nazione e successivamente in

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Questa puntata della rubrica Amarcord è dedicata a un personaggio chiave della storia della MTB che ne ha segnato lo sviluppo sin dagli albori con il brevetto di un sistema di sospensione che porta il suo nome di battesimo: il giunto Horst. Un cinematismo che a conti fatti, se non è il più utilizzato in assoluto, è certamente tra quelli più adottati di sempre tra i vari brand di mountain bike.

Horst Leitner è nato in un piccolo villaggio vicino a Salisburgo, in Austria, nel 1942. Già in giovane età cominciò a diventare popolare nella sua nazione e successivamente in tutta Europa come pilota di motocross di alto livello, gareggiando con ottimi risultati nel F.I.M. Motocross World Championships e vincendo diverse volte il Campionato Austriaco di Motocross e ben 4 volte la International 6 Days Enduro.

Durante la sua carriera da pilota portò a termine gli studi da ingegnere che lo hanno spinto a lavorare su alcuni sistemi che permettessero di migliorare le prestazioni delle moto da lui utilizzate in gara, soprattutto in merito alla resa della sospensione in relazione alla coppia erogata dal motore alla trasmissione. Inventò il sistema AMP Link Chain Torque Eliminator che consentì alle moto di avere maggiore trazione e controllo grazie al fatto che la sospensione restava attiva anche durante l’accelerazione. Divenne un sistema largamente utilizzato sulle moto da cross e sugli ATV.

Sull’onda di questo successo, Leitner si trasferì con la famiglia nel sud della California, il nodo nevralgico del motocross di quell’epoca, dando vita al marchio di moto ATK, sulle quali adottò diversi sistemi innovativi per l’epoca. Era la fine degli anni ’70 e le moto ATK utilizzavano motori a 4 tempi in luogo dei tradizionali 2 tempi, ovviamente il sistema AMP Link e non ultimo l’avviamento elettrico, che si rivelò importantissimo nelle competizioni nel deserto, dove le moto ATK ottennero diverse vittorie. Il marchio di Leitner divenne molto popolare negli USA, talmente popolare da fronteggiare marchi affermati come Husqvarna, Honda e Yamaha.

Leitner si innamorò sempre più dell’aspetto ingegneristico e, venduto il marchio ATK, fondò l’azienda AMP Research, che vive tuttora, dopo essere stata assorbita nel 2013 dalla Lund International Holding Company. La AMP Research realizzò negli anni immediatamente successivi alla fondazione, fino ai giorni nostri, un numero impressionante di brevetti e di soluzioni ingegneristiche su commissione per un numero vastissimo di marchi motociclistici e automobilistici.

Nel 1990, nel pieno fermento dell’attività della sua giovane azienda, Leitner diede vita al marchio di mountain bike AMP Research, sulle quali adottò in assoluta anteprima il suo brevetto Horst-Link. Leitner pose la stessa attenzione per la relazione tra sospensione e trasmissione grazie alla quale diede vita ai suoi primi brevetti in ambito moto, anche nell’allora neonato settore delle mountain bike full suspended. Il risultato fu un cinematismo innovativo che alzò l’asticella e creò il punto di riferimento su come dovesse essere un sistema di sospensione realmente funzionante in ambito MTB. Sulle AMP inoltre Leitner sviluppò il primo impianto frenante idraulico a disco con attivazione meccanica, senza dimenticare la forcella AMP con sospensione a parallelogramma.

La sospensione a quadrilatero con giunto Horst fu utilizzata da diversi marchi che vollero accaparrarsi il miglior cinematismo sulla piazza. Brand come Rocky Mountain, Turner, Mongoose e Titus pagarono Leitner per poter utilizzare il suo brevetto mentre altri marchi si limitarono a copiarlo. Nel 1993 Specialized acquisì l’uso esclusivo del sistema Horst comprando da Leitner il brevetto con tutti i diritti, facendo diventare il giunto Horst, sotto il nome di FSR, il punto cruciale della storia del suo reparto MTB full suspended. La prima bici realizzata da Specialized con la proprietà esclusiva del brevetto fu la Stumpjumper FSR S-Works del 1994.

Il 2012 fu, per legge, l’anno di scadenza negli Stati Uniti del brevetto con il quale Specialized di fatto ne vietava l’utilizzo a terzi sul suolo statunitense, fatte salve alcune eccezioni alle quali ne permetteva l’utilizzo previo pagamento della concessione. Da allora molti brand che già utilizzavano questo brevetto in Europa, dove non era legalmente riconosciuta l’esclusività, furono liberi di esportare i loro modelli con giunto Horst anche negli Stati Uniti, così come molti altri brand iniziarono ad adottare questo sistema senza restrizioni, eleggendolo definitivamente uno dei sistemi di sospensione più longevi e utilizzati nella storia della MTB.

AMP Research

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[Amarcord] 7 grafiche telaio che hanno segnato la storia della MTB https://www.mtb-mag.com/amarcord-7-grafiche-telaio-che-hanno-segnato-la-storia-della-mtb/ https://www.mtb-mag.com/amarcord-7-grafiche-telaio-che-hanno-segnato-la-storia-della-mtb/#respond Thu, 11 Jan 2018 22:59:31 +0000 https://www.mtb-mag.com/?p=175896/

Autore:  Francesco Mazza In questo nuovo articolo della rubrica Amarcord riproponiamo alcune delle grafiche dei telai che hanno segnato la storia della mountain bike. Spesso i brand di MTB hanno creato delle grafiche dedicate a delle edizioni speciali che sono rimaste nel cuore degli appassionati. In altri casi una livrea ha rappresentato un marchio a tal punto da essere associata al suo nome forse più dello stesso logo, venendo riproposta come grafica di riferimento per i propri modelli di punta o per i telai destinati alla squadra corse ufficiale. Ciò che è certo è che spesso, nel caso di queste

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Autore:  Francesco Mazza

In questo nuovo articolo della rubrica Amarcord riproponiamo alcune delle grafiche dei telai che hanno segnato la storia della mountain bike. Spesso i brand di MTB hanno creato delle grafiche dedicate a delle edizioni speciali che sono rimaste nel cuore degli appassionati. In altri casi una livrea ha rappresentato un marchio a tal punto da essere associata al suo nome forse più dello stesso logo, venendo riproposta come grafica di riferimento per i propri modelli di punta o per i telai destinati alla squadra corse ufficiale. Ciò che è certo è che spesso, nel caso di queste edizioni speciali, ci ricordiamo la grafica del telaio prima di qualsiasi altro dettaglio tecnico. Abbiamo scelto di riproporne 7 tra le più emblematiche, consapevoli che ce ne sarebbero molte altre che meriterebbero di essere ricordate.

Yeti A.R.C. – 1994

Se parliamo di colorazioni storiche, quasi certamente la prima a tornare in mente agli appassionati di bici più “anziani” è quella che ha contribuito a rendere celebre Yeti ai suoi albori con le sue A.R.C. e A.R.C. AS. I colori turchese e giallo hanno contraddistinto la squadra corse di Yeti sin dal 1987 e ancora oggi fanno la loro comparsa in alcune edizioni speciali dell’iconico brand del Colorado. Nella foto vediamo ritratta una spettacolare A.R.C. del 1994 nella livrea che fece la sua prima apparizione nel 1992 e che ancora oggi attira gli sguardi per il suo elegante equilibrio tra appariscenza e classe.

Rocky Mountain Suzi Q – 1995

Sempre a proposito di eleganza, Rocky Mountain nel 1995 introdusse per la prima volta la livrea “Canuck” nella sua gamma. Il modello scelto per la nuova colorazione che rappresenta ormai la tradizione del marchio, fu la Suzi Q, una bici che di per sé non riscosse grande successo rispetto ad altri modelli dello stesso catalogo come la Vertex e la Altitude, ma che ebbe l’onore di vestire per la prima volta i colori rosso e bianco con la tradizionale sfumatura creata da foglioline di acero rosso canadese. Numerosi furono i successori importanti della Suzi Q in versione “Canuck”. Nel 1997 per la Element e la Vertex venne adottata una versione ibrida per la preesistente colorazione Team Only, gialla e rossa, che assunse la tipica sfumatura con le foglie d’acero. In seguito si tornò alla classica colorazione con il rosso e il bianco che vide protagoniste delle pietre miliari della storia di Rocky Mountain come la Slayer, la Switch, la RMX e tante altre, fino alla Element della gamma 2018.

Intense M1 Shawn Palmer – 1996

Altrettanto appariscente, certamente meno di classe, ma indubbiamente stilosa, la Intense M1 con la quale l’eclettico Shawn Palmer si presentò agli UCI DH World Championships del 1996 in Australia, a Cairns, concludendo con una medaglia d’argento dietro a un giovanissimo Nicolas Vouilloz. La M1 in monoscocca, con le grandi superfici piane del telaio formato da due semigusci saldati insieme, si prestava alla perfezione alle personalizzazioni grafiche e Palmer colse l’occasione del mondiale per farsi creare una grafica “stars and stripes” da colui che ai tempi era conosciuto esclusivamente per essere il miglior aerografista per caschi del settore motocross, un certo Troy Lee (Designs). Palmer diede il via all’usanza, che permane tuttora, di personalizzare i telai con la livrea della propria nazione in occasione dei mondiali. Sotto al podio, nel suo solito stile dissacrante, dichiarò: “Se iniziassi ad allenarmi anche io vi farei vedere…”

Rocky Mountain RM7 Wade Simmons – 2003

Torniamo a parlare di Rocky Mountain che merita di essere citata con particolare riguardo quando si parla di verniciatura del telaio dato che il brand canadese ha sempre posto una grande attenzione sia alla grafica che alla qualità stessa della vernice. Impossibile non ricordare la gloriosa edizione Wade Simmons della RM7 uscita nel 2003, con le fiamme verdi che sfumavano il telaio dall’argento al nero in pieno stile hot rod. In quegli anni Wade era il padrino indiscusso del Freeride (o del Froride, per essere precisi) e questa RM7 è stata protagonista dei sogni proibiti di molti di noi. Nel 2016 Rocky Mountain ha proposto un’edizione speciale della Maiden nella medesima livrea: un bel tributo …ma la RM7 Wade Simmons resterà ineguagliabile.

Iron Horse Sunday Sam Hill – 2007

Con questa bici balziamo in quella che possiamo considerare l’epoca moderna della MTB. Siamo nel 2007, in piena era Sam Hill, quando l’australiano stravinceva in DH imponendosi su tutti con distacchi imbarazzanti. La Iron Horse Sunday divenne praticamente sinonimo di Sam Hill e l’australiano si fece creare numerose colorazioni personalizzate alternando il colore oro al colore verde del suo main sponsor, Monster Energy. Molte di queste colorazioni entrarono in produzione durante la stagione successiva a quella in cui Hill le utilizzava in gara, ma una su tutte rimase celebre e iconica e non venne mai replicata. Si tratta della livrea celebrativa della bandiera australiana della bici con la quale Hill corse e vinse i mondiali di Fort William nel 2007, dopo aver letteralmente dominato l’intera stagione di UCI DH World Cup. Per chi ha seguito la DH in quegli anni, la Sunday con questa grafica rappresenta un intero capitolo della storia di questa disciplina.

Santa Cruz V10 Syndicate – 2007

Parlando di grafiche dei telai dell’epoca più recente della MTB, sicuramente occorre citare Santa Cruz con il V10 del team Syndicate. Di stagione in stagione i ragazzi del Syndicate ci hanno abituati a grafiche accattivanti, diverse dai telai in produzione e realizzate appositamente per gli atleti della squadra. Sin dal 2006, anno di fondazione del team, i primi V10.2 utilizzati erano caratterizzati da una grafica dedicata che ha suscitato ammirazione rendendo questi telai una sorta di status symbol. La versione più emblematica è stata sicuramente quella apparsa nel 2007 sui prototipi del V10.3 in mano al leggendario Steve Peat e allo stilosissimo Nathan Rennie. Riprendeva i colori del team, rosso, bianco e nero, con l’inserimento del logo Syndicate e di quello Santa Cruz. Una raffinata sfumatura tra il nero e il bianco rivelava una grafica che riproduceva fili d’erba e fiori di campo, che si ripeteva anche sulla sfumatura tra il bianco e il rosso. Tema che fu poi ripreso, modificando i colori con quelli delle rispettive bandiere dei paesi di provenienza dei due atleti, per la versione dedicata ai mondiali.

Orange MTBcut – 2008

La stagione successiva dal Regno Unito arrivò una ventata di novità nella colorazione delle bici. Orange creò un team ufficiale di UCI DH World Cup insieme alla compagnia di produzione video MTBcut che adottò il colore del suo logo per i telai del team, il rosa fluo. Dalle prime 224 EVO, passando per i prototipi Strange e infine alle 322, comprendendo anche modelli da Enduro come la Patriot che vediamo in foto, la Five e la Alpine, Orange ha legato il rosa fluo alla nuova era del suo settore agonistico. Atleti come Ben Cathro, Fraser Mcglone e Joe Barnes (che ancora doveva dedicarsi all’Enduro) portarono vivacità e una nuova ventata di entusiasmo sui campi di gara della Coppa del Mondo di DH, legando il rosa fluo a quello stile puramente britannico di interpretare la MTB, a cavallo tra l’agonismo e il puro divertimento. Gli stessi atleti in quegli anni, in sella a queste Orange rosa fluo, hanno dato vita alla ormai famosa serie di video The Dudes of Hazzard.

Se questo articolo vi ha riportato alla memoria qualche altro modello in particolare, condividetelo con noi nei commenti… farà certamente piacere a tutti i lettori.

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